Wednesday, November 28, 2007

Quell'anima inquieta


Mad, oggi.
Non ci siamo mai persi, in questo frattempo. Quando ha letto il mio ultimo post mi ha confessato che per lei è stato come un salto nel tempo. Siamo forse molto distanti da quelle versioni di noi due bambini, ma neanche poi tanto.
Le ho chiesto come avrebbe voluto che definissi i suoi ultimi tentativi di evasione verso quel mare, e mi ha chiesto di dire che negli ultimi dieci anni ha teso spesso l'elastico verso quell'infinito, che l'orizzonte ci ha suggerito sempre. Ha viaggiato, vissuto in posti lontani, ed è sempre tornata a casa diversa, e più che mai se stessa.
Pur avendo, forse, raggiunto quell'immagine di se che desiderava diventare allora, in un suo altrove privato, ammette di non aver ancora sciolto vecchi fardelli adolescenziali. Forse ci ritroviamo in quella macchina, chiudendo gli occhi, nelle nostre emozioni. Per quanto improbabili le nostre direzioni siano state.
Facciamo ancora il gioco di scambiarci musica indie. Ma, figli del nostro tempo, oggi lo facciamo attraversi msn.
Mad, ogni bene, e per sempre buon viaggio.


Saturday, November 17, 2007

Barattoli e suole

Dieci anni andavo a vedere il tramonto. Guidavo la macchina di mia madre, dentro la quale mi era stato categoricamente proibito di fumare. Io facevo finta di dimenticarmelo, così passavo a prendere la mia amica Maddalena, la mia compagna di banco, e la portavo al mare. Appena lei entrava in macchina accendeva due sigarette, di seguito; una per lei e l’altra per me. Sapeva, senza che glielo dovessi ricordare, che doveva abbassare il finestrino. Aveva sempre un po’ di musica sconosciuta, che non si sentiva per radio o per tv. Diceva che gliela spacciava il cugino. Un cugino che io devo aver visto un paio di volte, ma di cui non ricordo nemmeno il nome. Era musica indie, si diceva. Così ascoltavamo la cassetta infilata nell’autoradio. Quando una musica non ci piaceva tanto abbassavamo il volume, e coprivamo l’aria di chiacchiere. Era l’ultimo anno del liceo, e figurarsi se non avevamo qualcosa di cui parlare. Le opinioni che esprimevamo erano il primo segno che potevamo definirci persone adulte, con delle idee. Eravamo forse un filo troppo cinici. Ma le opinioni migliori erano proprio quelle sarcastiche, ingrate, di sicuro successo.
Ma quando una musica ci piaceva, beh allora stavamo in religioso silenzio. Ci occupavamo solo di soffiare il fumo delle sigarette, già troppe, fuori dal finestrino.
Sono cresciuto in un posto dove, se sei fortunato e guidi svelto dopo i compiti, puoi vedere il sole che si tuffa sul mare. Io e Mad guardavamo il mare. Sicuri che dietro quel sole ci fosse un contorno di terra, prima o poi. Se cresci dove sono cresciuto io l’orizzonte lo vedi davvero, e il cielo ti chiude da parte a parte, come una campana, come un bicchiere che ti si rovescia sopra. Ricordo che lei sperava di fuggire, di andarsene da casa, perché dei genitori non ne poteva più. Mad aveva i capelli arruffati, e portava gioielli etnici eccentrici. Era la mia bellissima anima inquieta, seduta accanto. Io ero quel che ero, anche se non lo sapevo. Avevo perso quello che avrei definito in seguito: il mio più grande amore. Il mio amore che aveva preso un aereo ed era scappato da tutto. Un uomo che negli anni avrei inseguito, ripreso e poi perso. Un uomo che si è perfino sposato con un altro uomo.
L’uomo del cuore, che oggi amo come un fratello. Ma allora, seduto al volante della macchina di mia madre, con di fianco Mad, ignoravo ogni cosa. Era l’orizzonte a rapire il mio sguardo. Speravo solo di avere abbastanza vento nelle suole per poter inseguire quel che potevo solo immaginare.
Non passò molto che lasciai l’isola, arrivando da qualche altra parte. Mi lasciai Maddalena alle spalle, che mi salutò sperano che almeno io riuscissi ad avverare almeno la metà delle nostre promesse, del nostro coraggio chiuso in barattoli di vetro. Quei barattoli spesso mi sono serviti.

Ieri ho ascoltato una canzone di Ani di Franco. Una di quelle canzoni che fecero tacere me e Mad per un bel po’. Una canzone da tramonto sul mare. Una canzone che non ricordavo.
Penso solo che i miei orizzonti sono sempre lontani abbastanza per promettermi coraggio. E questo mi basta per sapere che quegli anni sono stati una delle migliori lezioni possibili.

Tuesday, November 06, 2007

NOV zerocinque

Il portone me lo chiudo alle spalle. La strada oltre il portico è umida. La notte fonda si è versata sulla mia città come pioggia. La festa e i suoi rumori fumano dalle finestre in alto. Lancio i miei occhi verso le luci, e mentre qualcuno ride, versando forse del vino in qualche bicchiere, io decido che è ora di andare davvero.

- Non mi dici neanche una parola? – era quello il sorriso che mi aveva legato le mani alla lingua. Stava in piedi, resistendo agli imbarazzi; spalmava le righe della sua maglietta attorno al mio silenzio, talmente solenne da vergognarmene. Era esattamente quello. Righe della tv quando torni a casa, quando nessuna trasmissione ti tiene sveglio fino all’alba.
- Come mai sei qua?
- Ma non avevi smesso di fumare?

Scivolato dentro quel piccolo appartamento, assieme agli altri, non riconobbi nessuna faccia. Sembrava un quadrato tagliato dal mio solito mondo, l’approdo casuale dell’avventura di un viaggio. I bicchieri rovesciavano la luce sul pavimento di linoleum, rigato da chissà quanti anni di scarpe da ginnastica. Alcune ragazze quasi nude e infreddolite, si stringevano sul divano, coccolando le loro minuscole borsette griffate. Il resto della bolgia immergeva le ore del sabato fino al fondo delle bottiglie sul tavolo dei liquori. Le anime della festa erano come previsto i padroni di casa. Immaginavo un compleanno, un ultimo esame da festeggiare. Strinsi mani, e finsi di ricordarmi di qualcuno. Le sedie Ikea coperte di cappotti leggeri. Non sembrava neppure autunno.
Suonava un disco dei Perl jem.
Le altre anime, quelle sconosciute, appoggiavano la schiena al muro, colorato di un rosso eccentrico. Ero entrato dentro il cuore di un segreto, morbido come bolle d’uva spremuta nei pugni. E lo vidi quasi subito, rollare del tabacco steso sulle solite cartine stropicciate. Come stropicciati i miei occhi sorpresi. Il bicchiere di vino non era nelle mie mani per caso, ma perché lo potessi appoggiare alle labbra, abbassando il volume dei nostri ciao. Mi pareva urlassimo sopra ogni altro rumore.
Quattro mesi dalla fine. Dal risveglio di quel fondo marino che era lui, per me.
E il film muto dalla pellicola masticata, che venne dopo, non mi aveva divertito. Ora, lì, sorrideva come il dente più bianco di quel muro da bocca rossa.
Aspettò il giusto perché io quasi sperassi di salvarmi. Rimasi accanto ai miei amici tutto il tempo. Convincendomi perfino che fare amicizia con persone di cui non mi sarei ricordato il volto e il nome, lo avrebbe fatto arrendere. Ma la sua attenzione, attraverso la festa nel mezzo, pulsava assieme ai semafori gialli fuori dal cuore ormai ubriaco. Sapevo che mi avrebbe chiuso all’angolo, prima che la festa finisse.

- Ma stiamo parlando di che cosa, scusa?
- Non lo so, ma ricordo che dicevi che con le sigarette avresti smesso.
- Beh, ho provato ma è durata poco.
Gli occhi di mosto di oliva, verde trasudava dalle sue ciglia. Ungeva le prese delle mie armi di difesa, tirate fuori all’ultimo dalle mie tasche, e imbracciate con la convinzione allevata del frattempo.
- Come stai?
- Bene, dai! Tu piuttosto? Lavori sempre per quel giornale?
Ricordava quel che gli avevo detto di me. Una cartolina con l’indirizzo sbagliato. E quante lettere invece avevo scritto nella mia testa. Bianche le buste, mai spedite, mai chiuse perché fossero un dono.
Feci cenno di sì, guardando oltre le sue spalle, contro una porta chiusa.
- Ti va se entriamo qua dentro? Questi urlano troppo, non riesco a sentirti, vieni. Provo a bussare.
Le mie dieci parole dieci le aveva sentite tutte. Non credevo che ne avrebbe avuto altre. Pensavo bastassero.

Aperta la porta, ci ritrovammo nel buio più pesto. Lo stesso buio delle nostre notti estive, senza coperte. Senza vestiti. Le nostre notti a casa mia, con le finestre aperte come gli occhi dei gatti. E le bocche cucite dai baci.
Mi sentii stretto in gola.
- Deve essere la stanza di uno di quelli che vive qui!
- Non lo so, non vedo nulla.- ma sentivo ogni cosa. Sentivo benissimo il rumore delle sue dita, schiacciare il bicchiere di plastica. Il fiato dei suo sorriso divertito.
- Ti ho pensato sai?
- Non posso saperlo, no; e come io non ho smesso di fumare, tu non hai smesso di credere che la gente ti capisca.
Rise, mentre qualcuno dalla festa mi chiamava.
E prima che la mia mano arrivasse alla maniglia, lui la rubò alla mia volontà, poggiandola sul suo petto. Chiusi gli occhi, stringendo il mio respiro perché non mi tradisse.
- Stai qui- mi disse all’orecchio.
La sua barba di due giorni, sulla mia pelle rossa delle guance. La sua lingua sulle mie labbra, che chiedeva permesso. L’aria della sua bocca volò dentro la mia gola, e scivolò assieme all’abitudine nei mie polmoni. Baciai l’uomo dei sogni da dimenticare, dopo quattro mesi di sonno delle nostre voci. Dentro la stanza di qualcuno che neanche sapessi chi fosse.
“Disordine al rigore” grida la scritta anarchica sul muro del ponte della stazione.
Pensai che fosse una cazzata estrema, che non dicesse nulla di sensato, quando la lessi una sera, guidando la mia bici verso casa.
Lo lasciai al buio, in silenzio chiesi scusa, e uscii. La porta socchiusa mentre avvisavo gli altri che sarei andato via, subito.

Mentre le strade mi parlano vado verso l’autobus notturno. Il cappotto allacciato fin sul collo e le adidas bagnate, come l’orlo dei jeans troppo lunghi per me.
La signora dei fiori attraversa la strada con me. Mi guarda appena un attimo, prima che il semaforo di via Ugo Bassi ci lasci alle nostre strade. Ha l’impermeabile giallo, e il vestito di merletti bianchi. Non mi serve guardare dentro il suo cestino, per sapere che sta vendendo margherite.
Il fiore del dubbio d’amore, che serve per tenere il segno dei libri di poesie.
I forse mi lasciano come alla mia città è concessa la breve tregua dei temporali.
Appena salgo sull’autobus, abbasso il finestrino. Sto in piedi e respiro. L’ossigeno di chi riemerge dai fondi marini troppo profondi, che se allunghi le braccia non arrivi al pelo dell’acqua. Che se ti perdessi, per distrazione, nessuno potrebbe sapere dove sei.
Mentre le strade mi insegnano l’amore, io scivolo verso casa, tenendomi stretto a loro.

Wednesday, October 31, 2007

Quest'oblio

La pioggia è sparita, sciolta in aria che punge la pelle. Il mio tempo non conosce la noia. In un giorno che nasce strano e che sai che placato e prevedibile non sarà. Non resisterà fino alla fine, così come lo vedi. Nelle mie mani c’è l’ambizione di una storia da raccontare, quand’anche non bastassero mille e uno tentativi. In tutta la mia vita, o almeno in quella che ricordo, mi sono perso spesso. Mi sono negato a me stesso, e per sentimenti temporanei, accecanti. Oggi no, oggi è diverso. Non mi sono mai conosciuto così bene. Oggi mi godo il lusso di non saper più mentirmi, pur sapendomi ingannare benissimo.
Ho un uomo accanto che vedo per come è, senza invenzioni, senza idealistiche proiezioni. Accetto i limiti delle mie capacità, e rendo approssimativo il controllo di me, nel dubbio di quel che succederà.
Questo è il mio bellissimo oblio di liberà.

“Forse la sua caratteristica più rilevante era la sua capacità di camminare sereno in questa città di pietre grigie e mattoni gialli, dove il vento che soffiava poteva ridurre a spilli i cuori delle persone”
M.Cunningham, da “Una casa alla fine del mondo”

Thursday, October 25, 2007

Orgoglio e percosse


Sono un rompiballe; discuto per tutto o quasi, e pesto i piedi se non mi dai udienza. Voglio essere accontentato, curato, coccolato. Voglio tutto, e che il tutto sia per me. Vorrei che fossi sempre allegro, felice di vedermi e con una matita in tasca all’occorrenza. E quando mi incazzo sono sgodevole, tremendo, impossibile. Alzo la voce, e uso toni del tutto inappropriati.
Tu stai lì con gli occhi sgranati, senza neppure capire cosa stia succedendo. Mantieni l’espressione di sorpresa finchè non realizzi. E vogliamo parlare di cosa succede a quel punto? Ti alzi in piedi, tieni le mani chiuse a pugno lungo i fianchi e abbai. Sì. Tu abbai. Non parli ma ti mangi le parole in un unico fiato. Tu che non sbagli mai, tu che dai l’idea di fare tutto per me. Fosse davvero così mi incazzerei? Ecco.
Mentre tu latri e ti arrampichi sugli specchi (sì, fai anche questo), io mi vado a sedere, accendo una sigaretta e ti sputo il fumo addosso, per provocarti. Tu mi dedichi la migliore faccia sarcastica che ti viene. E pensi di liquidarmi con un “va bene hai ragione tu”. Ahahahaha. Più di un anno e non hai ancora capito. Non lo mollo l’osso, bello!
Mi dici di non guardarti così, che sono sempre scontento (ma quando mai, io ti adoro) e che mi piace litigare (questo forse è un po’vero).
Beh tu non ci sai fare… esageri sempre. E quando la butti sul ridere, o quando prendi le tuo cose e fai per uscire di casa? Lì dai davvero il tuo massimo. Con l’orecchio teso per vedere se ti sto rincorrendo fino all’uscio.
Stamattina abbiamo fatto venire giù il teatro. Non hai mai abbaiato così, né io replicato con tale rapidità eloquente. Una mitraglietta e tu lì a saper schivare neppure il venti per cento dei proiettili. Finché ce l’hai fatta; hai eseguito il tuo repertorio perfettamente; imbracciato la giacca, scarpe ai piedi (a dirla tutta ti stavi infilando le mie… come sarebbe stato se ti avessi inseguito, non per convincerti a rimanere, ma per darti del ladro?)
E sbam no? La porta si sbatte amore, è una cosa dalla quale non puoi esimerti! No, tu la appoggi, perché sei ben educato. Ti devo insegnare tutto, ti devo!
Comunque ci è venuta così stavolta. La prossima volta sapremo fare meglio!
Intanto decidiamo quando vederci per fare pace. Vedi? Su quello non abbiamo indecisioni; ci viene proprio bene, io ti dico che hai torto ma che ti perdono, tu mi dici che sono uno stronzo ma che ti piaccio anche così. Mai uno scusa ho sbagliato, mai sia, neppure per sbaglio.
Mi ami? Sì? Davvero? Anche io, tanto.

Monday, October 22, 2007

Ai detrattori

Direi che è giunto il momento.
Chi mi conosce sa che non potevo tardare più di tanto. Allora, cos’è per me il blog? Un tentativo, un luogo dove mi esprimo, un posto dove aggiornare amici vicini e lontani su che genere di sole sorga in quel di me. Mi sono sempre compiaciuto abbastanza all’idea che altri, facce nuove, destini ignoti, giungessero sotto questo sole, casualmente o meno, e che pensassero qualcosa. Nel bene e nel male! Spero sia chiaro altrimenti lo ripeto: nel bene e nel male.
Il blog mi ha dato lavoro; uno di quei rarissimi casi in cui questo succede, è capitato a me. E non una volta sola, in fondo.
Il blog mi ha dato occasione di conoscere persone, per fortuna belle persone, che considero spettatori della mia vita tanto quanto piaccia a me spiare la loro. Il significato è proprio questo. Leggere, con simpatia, nell’accezione etimologica più pura. Del come sia scritto, del quanto in profondità, e di tutte le grammatiche me ne sbatto il giusto.
Come passaggi che si incrociano volutamente, o meno. Questo, della blog-culture mi conquista.
E, diciamola tutta, mi piace pensare anche di avere detrattori. Perché chi divide riesce comunque in qualche proprio intento. Perché essere nel mirino fa pure un po’ fico.
Per questa ragione non mi sono mai permesso di censurare libere espressioni di disappunto. Le ho lasciate lì, perché era giusto che fossero mostrate. In tutti i casi in cui questo è accaduto, i commenti negativi sono rimasti circoscritti, e bellamente ignorati dal resto dei miei lettori abituali.
Ma. Ora a freddo considero.
Chi critica dovrebbe almeno saper argomentare il proprio disappunto, il proprio gusto intellettuale evidentemente tradito dal sottoscritto. E sarebbe anche il caso ci mettesse la faccia. Chi mi critica ha un blog sul quale andare a spulciare? Mi divertirebbe. Perché chi mi critica sa davvero fare meglio di me? Ripeto: sapete fare meglio di me? Nessuno, di coloro che abitualmente mi legge, paga per farlo. (nessuno scontento è rimborsabile). Ma estremizzo: chi mi legge non è invitato al farlo. Solo gli amici più intimi, magari, e in qualche caso, ma non oltre.
Quindi, come chiosa: chi è colui che guarda schifato fino a qua? Cosa fa nella vita? Posso considerare il vetriolo caustico come un insegnamento? O posso, come credo, attribuire lo sprezzo a qualche centimetro di cazzo mancato? A qualche turbamento della propria coscienza? A qualche nullità della propria vita da compensare?
Posso, e voglio, essere oggetto di critica. Ma questa è munnezza signori miei. Equivale al disgusto platealmente esibito delle splendide al bar che ti additano e dicono: “Mio dio che scarpe chip”.
Ecco, questa merda io no, grazie. Non è per me, né per nessuna delle cose o persone che abbraccio.
Vorrei la faccia dei vari Patrick, loggiati appositamente per darmi addosso (nell’unico modo a loro concesso, ahiloro), vorrei la faccia di coloro che rimangono anonimi, che chissàperchè!
Da cuor di leone come voi, impavidi nella lingua, mi aspetterei meno vigliaccheria.
Per tutte queste ragioni io da oggi censuro, essì! Perché se parlo di eventi emotivamente spesi mi disturba dribblare i vostri blablabla. E aggiungo una cosa che è proprio da me: so di essere bravo, di scrivere bene, di saper fare il mio mestiere, che ci crediate, che pensiate o vogliate dire il contrario.
E questo sia davvero chiaro, carissimi!
Mi aspetto il vostro, e di meglio da parte vostra. “Passibili” (?) anche voi di qualche sbertucciata.

Monday, October 15, 2007

Fairy girl

Nessuno ha bisogno, realmente bisogno di una bugia. Ma i momenti codardi sono troppi. Così una promessa spesa nel buio di una casa piccola, di cartone, in un altrove lontanissimo, diventa una bocca feroce che ci mangia, che ci tortura. Questa è la storia di un nuovo amico, che chiamerò Fa.
Dodici mesi orsono, ha chiuso il bagaglio, piegato le camicie da stirare, e un volo oceanico di dodici ore senza scalo lo ha portato dall’altra parte del mondo. Avrà pensato, Fa, di ricominciare, di ridisegnare il tratto della propria vita, di colpo diventata un’avventura da vincere. Sono sicuro che avesse qualche punto di domanda piegato origami nelle tasche. Ha tenuto il segreto ben riposto. Ma quel paese, quei punti di vista allungati a mandorla, hanno allargato la sua prospettiva, sgranando un poco i suoi sensi. Lasciare le rovine millenarie del nostro paese, e dormire in case di vetro; metà di un’ellittica per cambiare forse sin dal principio.
Era estate, questa appena sfilacciata via. Sotto il sole che si leva ma che non so se sia poi caldo. Così Fa inciampa nell’amore, temuto. E il resto ha ben poca importanza. Nudo di fronte a un altro uomo nudo. Così semplice, Fa, non lo avrebbe mai creduto. E si è perso, come chi rinasce, come chi si libera da coperte troppo pesanti poggiate sugli occhi, propri e altrui. Quel sol levante lo ha lavato dai suoi stessi segreti. Da quel giorno non ha più infilato le mani nelle tasche.
E quell’uomo, colui per cui tutto, Fa lo ha riconosciuto subito.
Come quindicenni spettinati, ma a trent’anni, hanno corso il loro tempo, bruciando i fiati. Raccontarsi le donne del passato con un filo di paura nell’ammettere che la vita era quella. Solo quella. Sono andati a vivere insieme, in quel paese lontanissimo. Sgualcire lenzuola e forse, nell’ora più tarda della notte, promettersi quel piccolo pezzo di futuro, che non basterebbe comunque.
Fa, in questo ottobre, è tornato fra le rovine dell’Italia. Voleva, credo, che gli amici di sempre lo vedessero così, perso nella sua felicità. Qualche giorno per poi correre indietro, restituito alla sua vita.
Eppure.
Sabato prima di cena il suo amore lo avvisa, con poche parole. Un lavoro altrove, in un’isola subtropicale. Una richiesta avanzata in un prima, dimenticato, che oggi fa rumore. Quell’uomo decide di partire e chiede scusa per questo.
Per chi scrive esistono dei privilegi unici, impagabili. Assistere a quel momento mi spinge oggi a raccontare, a parlare di quell’attimo breve, perché qualcun altro capisca, sappia, conosca lo sconforto degli occhi di Fa. Quella bocca tesa, nel non sapere cosa dire.
Ed è stato davvero facile vedere in Fa quel me diciassettenne, che chi mi conosce bene ricorda. Quel diciassettenne che non ha mosso un dito mentre un aereo planava altrove. E le parole non dette non sono e non devono essere un’eredità del tempo. Per nessuno. Fa deve dire qualcosa, o meglio: tutto. Non partire, non lasciarmi, mi sento perso, dammi il tempo, never is a promise and you can’t afford to lie.
Perché ti amo ma vado non si dice, perché mi dispiace non basta, perché avrei voluto fosse diverso ma non posso fare altrimenti è una bugia. Gli altrimenti si trovano se si pensa che la vita è solo questa e poi non più. Sono troppi gli incroci mancati nel destino di ognuno. Quindi se per una volta ci si ferma e si ha fortuna, non si può perdere, né sprecare.
E Fa questo, tutto questo, lo prova ancora prima di capirlo, ancora prima di esserne sicuro.
E Fa questo lo dirà, a quell’uomo che temo parta comunque.
E Fa oggi non sa ancora che ci sarà altro, per cui perdersi, e per cui sdrucire gli occhi. Senza dimenticare questo ottobre vigliacco, e una promessa diventata una bocca ingorda. Ormai.

Tuesday, September 25, 2007

Vele

Quanto silenzio, vero? Ha dato fastidio anche a me. Insomma, ora mi pento di dover infilare in un unico post troppe novità che perderanno il tempo sorpresa, perché pressate fino all’ultimo punto. Da cosa comincio? Dal fatto che un bel giorno mi è stato offerto di scrivere in una rivista on web? Già successo nella mia vita, ma stavolta tutto diverso. Mi si chiede di parlare di libri, e giudicarli, come fosse indispensabile la mia opinione. Finora solo gli amici hanno finto che la mia sedicente lungimiranza di giudizio avesse qualche peso. Ora c’è perfino qualcuno che mi paga. Il mondo è alla rovescia. Sono scivolato su un treno settembrino fino a Mantova, per scrivere del festivaletteratura, e devo dire che la camicia stropicciata da reporter la porto con una certa dignità. O almeno così mi è parso. Presto avrò la mia rubrica fissa, così almeno qualcuno crederà alla mia sempiterna convinzione che lo spirito di Carrie Bradshaw alberghi in me. E da che mò!
Sto pensando ad altri mille progetti, fra cui l’organizzazione di un concorso di scrittura. E anche quello sarebbe un bel momento. Insomma, macina macina alla fine qualcosa si raccoglie. Intanto so bene io, e sa bene l’intero mondo che abbraccio, che dai libri, dal raccontare, dall’immaginazione, io non posso allontanarmi. Forse neppure perdessi mai la memoria.

E questa piace ai miei amici orsi. In un caldo pomeriggio di fine agosto ho avuto il piacere di inciampare in libreria su un mio autentico mentore inconsapevole. Il caro Luca Telese, popolare e beffardo giornalista parlamentare del nostro bel paese disastroso. Ora ci sta anche che lui si metta a leggere le mie cose, perché incuriosito da me… ma che ci si dia del tu no! Non avrei mai neppure osato inventarla come panzana questa… mai! Eppure. Quanto cari mi stanno gli eppure che, vele, soffiano di successo.

Per quanto riguarda il privato care telecamere di Verissimo, dirò che il mio fratellone si è sposato. E di questo ne riparlerò, come previsto. Sabato, in una giornata fulgida in barba alle minacce di Migliacci. Ho visto la gioia delle promesse, di un persempre così credibile da spingermi al pianto incontrollabile, e null’altro ci può essere di più bello che vedere da vicino il cuore di colui col quale sono cresciuto una vita per davvero.
E io nel mio piccolo mi difendo. Un anno con Luca, festeggiato purtroppo troppo in fretta. Ma che ci importa amore. È il nostro senso di sghimbescio che ci piace tanto. Quelle parole che capiamo solo noi, e nessun’altro. E anche per tutte le cose che ancora non diciamo. Tutto.
Insomma…. Scusate la sintesi, ma ho una pizza nel forno… questo e quanto e ben ritrovati. Non dimenticate che nel mio CV figuro ancora come “blogger”… anche se diserto. A presto.

Tuesday, July 03, 2007

Paradisi scelti

Ho il profumo di carta stampata nelle mani. Nuoto ormai in un oceano di parole. Da dieci giorni lavoro in una libreria in centro, ed è un sollievo. Come dopo un giorno di stanchezza e fatica, finalmente aver levato le scarpe e guardato dentro il frigo, sapendo che il resto del tempo è solo per sé. Così mi sento, nell’alzarmi a un orario che continuo a giudicare letteralmente “imbarazzante”. Così mi sento nonostante il campionario di umanità che mi passa davanti mi lasci a volte talmente di sale da anestetizzare la mia linguaccia. Eppure lavoro, e respiro l’aria migliore del mondo. Un’aria lontana che so stare ad aspettarmi. Come un paradiso scelto, in qualche modo.
Sarà forse un lavoro temporaneo, ma la vita è bizzarra, e quel che ci sorprende non è divertente prevederlo. Mai.
Gran parte della mia giornata si consuma come una marlboro al vento. Quei pochi momenti che risolvo nella notte ormai pesta, sono tutti per lui. Quel lui che mi porta al mare, facendomi ballare di felicità. Quel lui che tiene la mano sul cambio, con la mia mano dentro la sua, mentre Tori va e viene da Venus.
Piaccio ai miei capi. Mi trovano simpatico e sostengono che abbia portato un’allegria strana tra gli scaffali. Neppure mi aggirassi conciata come una ragazza coccodè (cosa che avrei pensato di fare pur di essere chiamato). I momenti più belli sono quando un ragazzino con l’apparecchio ai denti mi viene a chiedere qualche consiglio per le letture estive. La prima cosa sulla quale mi trovo a riflettere è: cosa vorrà? Intrighi internazionali, dossier politici, avventure cosmiche, sfondi sociali, o storie di amore disordinato? Quando posso, se posso, ci metto dentro il mucchio anche qualcosa di mio. Intendo qualcosa che a me ha regalato evasioni speciali, mondi lontani, sogni umidi. Quando mi viene proprio bene, ma bene bene, suggerisco anche qualcosa di gayo. E non so spiegarvi il sorriso che spesso mi viene restituito. Ci siamo capiti in un attimo ragazzino; anche io ero come te! Thò, leggiti questo e pensa sia possibile essere amato e non credere che la fantasia non aiuti.
Chissà che anche tu presto non abbia qualcuno che ti porti al mare, a mangiare cocomero e ad aspettare la sera in silenzio.

Wednesday, June 20, 2007

Bold ambition.


Bene. Riassumere le ultime settimane non sarà compito facile. Vorrei quasi che qualcuno lo facesse per me. Ma poi che scrittore blogger sarei? Per cui su le maniche e via!
Tutto è incominciato all’inizio di questo mese. Tempo incerto e pioggia codarda. Un pomeriggio, dopo un pranzo cinese spiluccato senza troppa voglia con degli amici, andiamo a vedere uno show di mtv in piazza. Un’orda di ragazzini se stava per magnare gli amici mia, ben contenti dell’entusiasmo pubescente. Io invece guardavo i vjs, e pensavo: ammazza che vita che fanno questi… e pensare che io non trovo un lavoretto estivo manco a pagarlo oro! Torno a casa, con una granita alla quale ho contagiato la mia noia afosa. Faccio un giro di annunci offro-lavoro su internet e SBAM:
“annuncio cercasi vj mtv”. Proprio fra telemarketing e agente monomandatario. Mi metto a ridere e mi dico: massì, ma che te frega, ventisette anni e via che ancora jel’ammolli…. Manda sto cv pure a loro, che l’hai mandato anche al pescivendolo qui sotto (ci avrà avvolto una cernia per nonna Angelina dell’ottavo piano!).
Non lo dico a nessuno, che figurati se ti chiameranno; a te poi, ma va là, ma sei vecchio, etc etc.
Quattro giorni, quattro fottutissimi giorni e: drin drin pronto Alessandro? Sì chi parla, ciao sono Vera casting mtv. Oddio, cosa? Ti abbiamo fissato un primo colloquio qua a Milano! Ah ecco! Fra cinque giorni, pensi di esserci? Beh mmmh sì, direi che si può fare! (Ma sei stronzo?…. Si può fare? La tv, l’acclamato mondo dello spettacolo chiama te, e tu nicchi quasi snobbando? Vergogna!).
Chiamo a raccolta le amiche per una riunione straordinaria. E dico: allora che si fa? Amico numero uno mi dice: se non ci vai ti prendo a calci in culo da qua fino a Milano, e scordati di imporci la tiritera “dovevo-potevo-sapevo-se solo!” per i prossimi vent’anni! L’amico numero due annuisce nervosamente… paura negli occhi!
Ok vado. Il moroso felice come una pasqua. Perché si paventava l’idea mi scavassi da los cocones? Perché vorrebbe vedermi ricco e famoso? O perché gli avevo promesso una pedana vibrante come primo regalo da personaggio tv? …. Pedana, pedana!
Plano a Milano una mattina di pioggia, senza avvisare nessun amico bauscia (perdonatemi….). Finisco in questo studio ufficio casting e compilo le prime scartoffie. Un questionario che sembrava essere divertente perfino. Domande come: cosa guardi in tv? Quale personaggio televisivo vorresti essere? (risposta? Pingù).
Ero letteralmente circondato da adolescenti, per di più ragazzine, con il sogno di diventare tante Cristina Chiabotto versione vj e fare tanta plin plin (sul pubblico come Cucciolina negli anni ottanta?). Inutile dirvi che non potevano mancare le solite mamme coraggio: alza le spalle, tieni in dentro la pancia, sorridi, dì che sei insicura che piace sempre un po’di timidezza. Siori e siori, ecco il mondo dei casting! Io poggiato lì, a intimidire le giovini: essì sono vecchio e allora? Sticazzi piccola cessa… vedremo chi la spunta! Tzsè!
Il mio turno: stringo la mano a una ragazza carina, abbastanza mtv, e inizio a parlare di me. A ruota libera. Lei interviene quando riesce. Ride, ride parecchio. Si diverte, mi diverto anche io.
Quando tutto finisce mi ringrazia e mi saluta. Torno a Bologna. Mi si chiede: e allora? Com’è andata? Io non lo so. C’è un turno di Torino. Quello finale. Due giorni e poi si decide. Ma figuriamoci. Non ho esperienza. Non so come si faccia un provino. C’è gente che vive di questo. E per questo.
Sette giorni, sette fottutissimi giorni e: drin drin ciao Alessandro, chi è? Casting mtv. Sei piaciuto molto a Milano, mtv ti vuole rivedere a Torino per l’ultima parte del provino. Sarete meno di cento. Preparati bene. Ti mandiamo i testi! Ccc.. come scusa? Nel senso, sono dentro? Sono passato?
Sì Alessandro, dicevo: ti mandiamo i testi via mail. Che testi? I testi di una prova di simulazione conduzione. Preparali, perché li farai davanti alle telecamere di mtv fra cinque giorni esatti!
E lì inizio a pensare: ok, questa cosa sta succedendo davvero! Inizia a venirmi il panico. Decidi cosa metterti, prova i testi senza ridere, senza sentirti ridicolo, oddio mi impappino, mi si lega la lingua, sìì spontaneo, naturale, trova il tuo stile. Pensa che sarebbe la svolta della tua vita.
Plano a Torino con la pioggia. La sera prima. Passo del tempo con degli amici che mi davano ospitalità. Provo i testi e boom, perfetti. Un vero vj. Toni, parole, proprietà di linguaggio, voce diaframmatica, respiro regolare. La mattina del provino facevo la schiuma come un cappuccino. Mi presento all’indirizzo scritto in grassetto sulla mail. E lì vedo! Vedo la competizione, vedo l’aria che tira in situazioni del genere e mi fa alquanto schifo. Vedo l’abitudine di molti nel trovarsi sempre gli stessi ai provini di mezza Italia. Tutti o quasi col book, e tutti rappresentati da una qualche agenzia dello spettacolo. Tutti, tranne me. Calvo blogger outsider.
Mi chiamano. Finisco in questa stanza buia, con nove sagome nell’oscurità. Colpi di tosse, rumori di fogli da sistemare. Leggere parole ingoiate da un nero atroce. L’unica luce su di me, in piedi, con dietro un cartonato di mtv. La riproduzione più fedele di uno studio. Ho rischiato che mi venisse un attacco di sindrome di Stendhal. Troppi colori e io, dentro, come perno di una trottola a velocità eccessiva, e un microfono in mano. Mi saluta una voce! Ciao Alessandro….Dio? No, la direct casting. Bentrovato allora iniziamo: tre due uno e ….
Io attacco con voce tremante. Faccio qualche battuta, e sento che qualcuno ride. Insisto e il volume delle ghignate si alza. Finisce in vacca con Dio-casting che mi dice in un fiato di ridarella: va bene Alessandro bravo! Hai dato il meglio di te!
E sarò onesto: ho pensato “è fatta”.
E invece NO. Non sarebbe stata la mia vita, al limite del brivido fino all’ultimo soffio. Quando finiscono tutti gli altri modelli super top, visi angelici e voci da radio, ci raggiunge Dio con una bella lista. Quattro nomi, solo quattro. Coloro che avrebbero rivisto volentieri.
Io a casa. Grazie per essere venuto e arrivederci.
Perché no? Forse perché gay? Perché troppo adulto? Perché senza un’agenzia alle spalle? E perché ero lì, perché mi hanno voluto fino all’ultimo, o quasi?
Tutte risposte che forse mi sarei meritato, ma che nessuno mi restituirà. Però mi sono divertito davvero. E fanculo l’amarezza del ritorno a casa. Ho molti successi, che mi stanno stretti al cuore. Uno fra tutti? Colui che senza posa ha continuato sperare, a incoraggiarmi, a tifare per me con sfacciata parzialità e dirmi: vada come vada io sarò il tuo fan numero uno, sempre!
E così sia.

Saturday, June 09, 2007

La finestra

Venerdì è uscito “La finestra”, nuovo lavoro dei Negramaro. Etichette Sugar.
Chi mi conosce bene sa perfettamente quanto io stessi aspettando questo momento. Sono sempre stato un loro fan, ancora prima del fortunatissimo insuccesso sanremese di Mentre tutto scorre. Non sarà per me il tentativo di confermare il loro talento. Non ho dubbi, considerando che vivo in uno stato di venerazione per i sei ragazzi di Copertino, Italy.
L’unica speranza che conservavo era che questo disco fosse sulla stessa scia dei precedenti, con la sicurezza che i suoni sarebbero stati di maggior qualità, considerate le vendite e gli introiti degli ultimi due anni. Beh, attesa perfettamente soddisfatta. Da quel che si legge in giro, la registrazione è avvenuta a San Francisco, per mano di un grande della musica italiana, Corrado Rustici. E tutte le quattordici tracce sono state impresse su bobina, dando un effetto di musica suonata dal vivo, in presa diretta, probabilmente limitando anche le possibilità di rimasterizzazione infinita che il solo digitale garantisce. Si percepisce un alto livello di concentrazione sull’esecuzione di ogni singolo brano.

A un primo ascolto, l’omogeneità del disco pare essere un felice compromesso dei due dischi precedentemente pubblicati. Come fosse la terza parte di un trittico, tesi antitesi e sintesi. Riconosco la cura del sintetizzatore perfettamente giustapposto, alta sofisticazione delle corde acustiche, che in 000577 presentava la band al mercato. Riconosco le liriche immaginifiche, e la crescita del suono mentre la traccia trova la sua fine, smorzata in enfasi da falsetti a piena voce di Giuliano, in grandissimo spolvero. Tutte caratteristiche sempre più acute, invece, proprie di brani come “Solo 3 min”, o “Ogni mio istante” , “Estate”, “Solo per te”, contenuti in “Mentre tutto scorre”, anno duemilaecinque.
La struttura della canzone in linea di massima è in divenire. Si aggiungono suoni man mano che la storia che ci viene raccontata (a più livelli) cresce di densità. Le liriche sono dialogo diretto, rivolto al tu che ognuno di noi ha, o aspetta. E i toni di questa visionaria conversazione sono di autoaffermazione, di bisogno di definire il proprio sé. Ogni canzone cerca la propria dimensione di contenuto, come se cercasse delle risposte. È un vero e proprio inseguimento tra musica, toni sospesi, e Giuliano che , sempre in primissimo piano, fa cenno a tutto il resto di inseguirlo, in traiettorie che spesso virano, si modificano “sul più bello”, diventando meglio. Incredibilmente meglio.
Disco che rappresenta i primi minuti d’amore, quando tutto ci sorprende. Ci eccita e ci rannicchia in qualche pensiero. Tachicardiche marcette di suoni accentati e fiati a ritmo, così come scioglievolezza di ballads sussurrate all’orecchio teso (improponibili per qualunque voce normale da karaoke, mannaggia).
Questi ragazzi sono amici, e si vede. Si portano le orecchiette della mamma in valigia quando vanno in America per lavoro. Fanno della loro musica il loro intimo manifesto. Evitando magari di sforzarci per ricercare somiglianze con qualcos’altro, qualche altro suono, qualche altra band (vizio italiano dei più antipatici). Non c’è indecisione, né bordi friabili. I Negramaro sono un progetto sin dal loro principio. E nulla è cambiato.

Voto (sister insegna):
stelle pleiadi su cinque.

Monday, June 04, 2007

Sosia


Lo so... è così!
Almeno dal mento in su... e vi pregherei di credermi. Ma il mio punto di vista è questo: é il mio ragazzo ad avere un sosia che per caso gioca a calcio... e che faccio fatica a ricordarmi come si chiama, non fosse per questa foto!
E io polpetta non la baratto, neppure per un paio di quadricipiti da perdere quei 4 capelli che giocano a fare Lost sulla mia crapa!
Ecco!

Friday, June 01, 2007

Terra Naomi "Say it's possible"

Naomi ha prima scritto questa canzone, e poi attraverso YouTube ha chiesto al mondo di rispondere a una domanda: "Cosa chiederesti, se qualunque cosa fosse possibile?". Con le registrazioni video di alcune delle persone che hanno risposto, ha girato questo video ufficiale.

Mi ha fatto pensare; mi ha fatto emozionare. Lo posto per questa ragione.
Se non capite l'inglese, alla peggio guardate in faccia un pezzetto di mondo.

Wednesday, May 30, 2007

Sarà che

Sarà che ho sempre avuto una pelle color caramello.
Sarà anche che per farmi strada nel mondo, piuttosto che sgomitare, ho sempre preferito sculettare.
Sarà inoltre perché dico sempre che, se mi dovessero ricrescere mai i capelli, vorrei un bulbo gonfio cotonato e crespo, che balli con me a ogni passo tirato innanzi.
Ma ancor più probabile che sia perché quando voglio dare enfasi alle mie opinioni, brandisco il dito sotto il naso del mio interlocutore, con un accento alle spalle che non ve lo sto manco a spiegare!
Il mio frasario è folkloristico, e i colori che indosso non sono mai abbinati, ma piuttosto la scena di un imprevisto galattico. La pura distrazione di una modellista sotto crack.
Sarà che adoro il double dutch; che da piccolo saltellavo tra le due corde inventando filastrocche. Sarà che impazzisco per il pollo fritto; che ascolto ancora le Salt ‘n Peppa, che mi muovo in una dancefloor solo se è l’R&B a convincermi.
Sarà che se mi arrabbio, sbraito. Che difendo gli affetti in maniera piuttosto fisica. Sarà anche che il mio quartiere è multirazziale, e meravigliosi frugoletti color morositas giocano davanti al mio portone.
Sarà che cantavo nel coro della chiesa, e mi rimproveravano perché variavo troppo le melodie. Sarà che se oggi canto, lancio qualunque estensione in vibrato, che io affettuosamente chiamo: “Vaibbrado”.
Sarà che un’arroganza sottile pervade le mie pose plastiche, che la mia mano è sempre poggiata sul fianco. Sarà perché sono sguaiato, e da troppo tempo in cerca di un lavoro.
Sarà che sono circondato da una factory di talenti underground. E che considero la mia vera famiglia quella composta da scapestrati esempi dell’umanità raccolti un po’ ovunque.
Sarà per questo che per tutti sono da sempre:
(bè bè bè bè bè) la ragazza del ghetto!

Double Dutch

Tanto per farvi capire!

Thursday, May 24, 2007

Perfidia e ingenuità

Bene: vi racconto questa storiella.
Come avrete capito dal precedente post, ieri era il compleanno di Luca. Io, che sono eccessivo a giorni alterni, non mi accontento di preparare una cenetta e basta. In questo periodo sta lavorando molto, e sapevo bene che non avrebbe mai avuto tempo di organizzare una festicciola. Così ci ho pensato io… ma ragazzi se gliel’ho fatta sudare!
Uscito dall’ufficio alle otto è arrivato a casa mia per cena. Entrato in casa era tutto sudato e si è precipitato sotto la doccia. Dopo di che mi ha raggiunto a tavola. Ha trovato sotto il naso un’insalata confezionata e una scatoletta di tonno in scatola (ancora in scatola intendo!). Mi ha guardato con occhi di rimprovero, e io subito a giustificarmi: “Amore, fa caldo, siamo ciccioni, dai… ci fa bene”. Pensate che l’ho quasi convinto.
Dopo cena mi sono accorto che aveva un musetto lungo, e gli ho chiesto cosa avesse.
“Non mi hai preso neppure una tortina…”. Ho finto di essere mortificato. E gli ho risposto:
“Dai che ci sono i polaretti in freezer… ne vuoi uno?”
Credevo di ridergli in faccia, di tradirmi. Lui mi ha guardato sufficientemente schifato e si è limitato a fare no con la testa. Io ho finto di non dargli peso!
Sapevo che da lì a poco la casa si sarebbe riempita di amici, e lui era ancora in mutande. Non sapevo cosa inventarmi per convincerlo a rivestirsi. Non volevo dare nell’occhio. Ho cercato di proporgli una buona ragione tirando in ballo la digestione, che con la pancia scoperta magari ti fa male amore. Lui, piuttosto secco mi fa: “ ah sì certo, per un’insalata stai a vedere che muoio”. In fondo come biasimarlo, poverino!
All’ora prestabilita ricevo una telefonata. Il mio gancio. Gli amici erano sotto casa, e aspettavano che io aprissi portone e porta di casa. Lui sempre in mutande sdraiato sul divano, badate bene!
Mi alzo, rispondo.
“Scusa non ti sento ho la tivvù alta aspetta che mi sposto”… e intanto quatto quatto vado ad aprire agli amici.
Torno di là, gli do un bacino e gli lascio un cuscino proprio di fronte alle vergogne. Lui non intuisce nulla, mi restituisce il bacino, un po’ tirato a dirla tutta, e si stringe al cuscino.
Tre due uno… e otto persone entrano nel mio soggiorno cantando tanti auguri a te, soffocati dalle risate nell’averlo trovato così… un tripudio di ciccia vergognosa! Tossivano ridevano e scattavano foto. Lui immobile, senza fiato!
Io che mi godevo la scena pensando che si buttasse dalla finestra. Invece… la mia popetta tenerissima (solo quando vuole)… si è messo a piangere, tutto emozionato.
Ho preso la torta… una sberla di torta diciamocelo! E quando l’ha vista si dev’essere sentito ridicolo nell’aver pensato che io, che uno come me, che questa meraviglia qua che vi scrive, si potesse dimenticare la torta nel giorno del compleanno! Quante cose ha ancora da imparare il ragazzo! Tzsè!
Ha scartato i regali, probabilmente attendendo il mio momento! Io, che se non vedo il sangue non mi fermo, ho annunciato al popolo: “ Beh sappiate che il mio regalo ve lo siete appena mangiato”. Lui non ha mosso un ciglio! Che goduria!
Rimasti soli, dopo una bella serata caldissima, fra i clacson dei tifosi del milan sui viali di Bologna che raggiungevano le nostre risate da soggiorno, mi preparavo a infliggere l’ultima stoccata!
Ho tirato da sotto il letto un pacchetto. Una busta di un negozio in centro che vende abbigliamento. Lo conosciamo bene questo negozio, perché spesso ci facciamo un salto! Lui subito mi fa:
“Ah sì la maglietta bianca, con le scritte rosse!. Povero sciocco!
Apre la busta e trova i classici giornali. Scava e scova un pacchettino. Qualunque gay del mondo avrebbe saputo cosa lo attendeva e cosa fare. Il mio gay no! Il mio è proprio uno che è meglio se va a zappare! Scarta il pacchettino e si ritrova in mano un astuccio blu e argento. Lo guarda. Interdetto.
(credo che abbia pensato: chissà se si mangia!)
Lo apre rovesciato a testa in giù. (e che cazzo, ma vuoi imbroccarne una che è una almeno? Macchè).
Scivola sul letto un anello. Lo conosceva, lo avevamo visto una volta in centro. Lui sgrana occhi e bocca, e non dice nulla. Lo prende fra indice e pollice. E mi guarda. A quel punto poteva accadere di tutto.
Gli si sono bagnati gli occhi e mi ha abbracciato.
Lo ha indossato e si è ammirato la mano.
“E’davvero bello… ma tanto bello… grazie, non so cosa dire”, mi ha detto. Nella sua testa credo che si affollassero molte cose, ma una in capo a tutte. Credo si chiedesse se se lo fosse meritato.
Ecco, che ci pensasse vah, che male non fa!
Stamattina prima che fuggisse al lavoro, ho aperto un occhietto. L’ho tanato mentre si guardava la mano e sorrideva.
E quel sorriso vale più di tutto il resto!

Tuesday, May 22, 2007

Canzone di compleanno

Alla mia polpettina dolce (?), un bacino e strilli a uffo!

Auguri tesoro.
Io.

Friday, May 18, 2007

Imma fan club


Eh, lo so. Posso vantare di avere lettori molto snob, culturalmente vivaci, e politicamente impegnati. Piuttosto che guardare i reality, loro si sparano intere serate di Rai Nettuno, o sproloqui di Gabriele la Porta! Mentre io no! Io sono molto più in basso. Io strizzo l’occhietto anche a tutto quel ciarpame televisivo che mamma tv passa. E mi diverto! Mi piacerebbe dire che mi sento rappresentato da tutto quel chiasso, dalle sterili polemiche, da querelle montate su ad arte! E, visto che mi piacerebbe, lo dico! Sono un figlio del reality, e spero che la vita mi porti il successo grazie a un televoto!
Le telecamere forzano gli animi; costringono i concorrenti a falsare la propria persona in nome del pubblico plauso! Quasi nessun gesto, nessuna parola sputata fuori, ha del naturale e dello spontaneo! Non è forse così la vita di tutti i giorni? Ecco, per cui: guardo la tivvù per fare palestra di vita, insomma!
Però lei… Lei, è del tutto autentica! Imma di Ninni, ventotto primavere, Altamura, Puglia. Tirata su a pane, immagino! Imma ha appena concluso felicemente la sua cavalcata verso la vittoria in un reality di canale 5: “Un due tre… stalla!”, portandosi a casa la bellezza di trecentomilaeuriiii! Oh, come se vi vedessi storcere il naso, e dire: Babbabia che schifezza, mon dieu! Invece io insisto: un magro compenso per un’artista del tubo catodico! Lei, e solo lei, strabuzza gli occhi in primissimo piano, pur sapendo di non avere nemmeno la minima idea di quel che sia la simmetria di uno sguardo. Lei, e solo lei, quasi nega di aver fatto ricorso alla chirurgia estetica, sperando di essere credibile, nonostante un naso a trampolino di lancio e due tittazze da sei kg ca. (almeno). Lei e solo lei si lancia in sperimentazioni linguistiche, urlate, non si sa mai che i più distratti non si accorgano delle consecutio temporum estratte a sorte! MA, nonostante tutto quello che le possono aver detto, di decisamente offensivo e inappropriato, lei e solo lei ha continuato a grondare savoir faire. Immaginatevi l’abitudine che ci avrà fatto!
I genitori si sono saputi contenere meno. Presenti in studio, difendevano le ingiurie contro la figlia, minacciando gli opinionisti di percosse e sgozzamenti, il tutto in un perfetto pugliese…e credetemi: erano del tutto convincenti!
I suoi masterpeace rimangono l’imitazione del polipo, e la recita di Basic Instint. Delicatissime entrambe, per nulla ambigue! La sua parola chiave è: “PULTROPPO”.
Come si fa a non amarla, dico io?

Monday, May 14, 2007

Senza parole, amore.


Coprimi la testa con la sabbia sotto il sole, quando pensi che sian troppe le parole. Dimmi se c'è ancora sulle labbra il mio sapore, quando pensi che sian troppe le paure.
Parlami d'amore se quando nasce un fiore mi troverai senza parole, amore.
Parlami d'amore se quando muore un fiore ti troverai senza respiro, amore.
Crolla il tuo castello tra la rabbia sabbia e sole, quando pensi che sian dolci le parole.
Dici che c'è ancora sulle labbra il mio sapore, quando pensi che sian lame le paure.
Parlami d'amore se quando nasce un fiore mi troverai senza parole, amore.
Parlami d'amore se quando muore un fiore ti troverai senza respiro, amore.
Tu dimmi quante alternative vuoi, se quando parlo non mi ascolti mai, amore.
Fra tutte, quale alternativa sei, amore, senza più parole, senza più paure.

Paperottolo al mare, ingordo come sempre, canticchiava tutto ciò. Il mio amichetto Giulianuccio mi ha regalato una nuova ossessione. Signori, è ufficiale, i Negramaro sono tornati. E questo basta per dire: non vedevo l'ora!

Wednesday, May 09, 2007

Paperottolo's tales.


Confesso. Il paperottolo in questione sarei io. Alla fine mi piace. Perché un po’ mi somiglia, e Paperottolo mi ci sento. È un nomignolo. Non troppo intimo, visto che anche le cassiere del supermarket sotto casa sanno che mi chiamo così. Sfido io… se "lui" lo urla da banco freezer mentre io sono in gastronomia! Oggi sono più Paperottolo del solito. Domani parto per un fine settimana nell’isola che non c’è. La mater compie gli anni, e non sarà un giorno allegro. Per cui mi sento un Paperottolo kamikaze, però visto che la genitrice ha espresso tale desiderio… Paperottolo ha il cuore grande, e va!
Certo… Paperottolo è anche furbetto. E sa bene che con molta probabilità, potrà permettersi un paio di giorni in spiaggia, sotto il sole, a bere mojito e mangiare papaia. Per cui Paperottolo avrà anche il cuore grande, ma non è del tutto idiota!
Inoltre Paperottolo negli ultimi due giorni ha giocato a fare Paperottolo pecorella. Si è sfamato di verdura cruda e anche un filo appassita (il sacrificio lo si deve portare fino in fondo!). In quanto, Paperottolo, se vuole fare Paperottolo che va in spiaggia, sa bene che deve mettersi il costumino. E, siccome Paperottolo è a forma di pera… Paperottolo doveva soffrire!
Ora paperottolo è riuscito a infilarsi nei vecchi panni da mare…. Ungendo la pancina con lo strutto. Ma questo è un segreto di Paperottolo che voi non direte a nessuno.
E Paperottolo stasera saluta Polpetta. Paperottolo sa che Polpetta, quando rimane sola, balla più dei famosi topi senza il gatto. Così Paperottolo stasera dovrà giocare a fare: Paperottolo mafioso. Paperottolo non vuole intimidire Polpetta; piuttosto vuole essere previdente.
E ora Paperottolo vi saluta. Si fa un bagnetto e torna. Lunedì, col volo delle sei del mattino. Cosa che non rende troppo allegro Paperottolo. Però Paperottolo non poteva fare altrimenti, quindi Paperottolo si adegua.
E al suo ritorno Paperottolo sarà nero nero dal sole, sperando che tutti lo scambino
per quella gran cessa carampana di Calimero.

Ps: notate la mia borsa del MOMA…. Non potevo non postarla, così, distrattamente.
Pps: Sì, quelle sopracciglia sono disegnate. Luca sa essere dolce a volte, vero?
Buon weekend a voi, paperottoli.

Monday, May 07, 2007

Oh Boy.


Londra. Il cantante Boy George (nella foto) è stato arrestato dalla polizia con l’accusa di aver rapito e violentato un modello gay, il norvegese Auden Carlsen, 28 anni. Il modello ha raccontato di aver seguito il cantante a casa dopo che Boy George lo aveva pagato 400 sterline per fargli delle foto. A mezzanotte, dopo averlo fotografato in mutande in pose sexy, George lo avrebbe spinto contro un muro, incatenato con l’aiuto di un complice e poi gli avrebbe detto: «Ora avrai quello che ti meriti». Carlsen ha aggiunto che la popstar gli avrebbe mostrato una valigia piena di oggetti sadomaso. Alle 5 del mattino, quando Boy George è uscito di casa per andare al negozio all’angolo, il ragazzo è riuscito a liberarsi, strappando il gancio che lo manteneva incatenato al muro. Mezzo nudo ed impaurito, ha chiamato la polizia.

Ora, lasciate che faccia giusto giusto un paio di considerazioni. Innanzitutto avrei dato un falange della mia mano destra per vedere la faccia di Boy- dominatrix. Poi mi chiedo chi mai sia il famigerato complice, macellaro, che aiuta Boy a legare il baldo maschio come una salama da sugo….. spererei che fosse Antony. In fondo, dopo la collaborazione con Bjork non oso pensare come sia tornato alla sua vita (voglio dire…. My juvenile?)….. come si dice a Bologna: anche lui lì non dev’essere tanto a casa!
E poi…. Come sarà iniziato questo declino di mistress Gorge? Vuoi vedere che anche lui ha cominciato a deragliare, mandando mails a case distributrici di DVD, perché non riteneva accurato il lavoro di confezionamento?
E comunque, vedete cosa succede a noi ragazze bruttine, troppo truccate, con qualche problema di peso? Che poi, quando incontriamo quelli belli….. beh…. ci viene il sangue alla testa e diventiamo delle furie!

Monday, April 30, 2007

I matti e la sibilla

Abbiamo corso tutto questo tempo. E adesso che è maggio?
Io non ho neppure finito di smantellare l’albero di natale, e mi ritrovo a guardare i costumi da bagno nelle vetrine! Quest’anno devo rinunciare allo slippino… meglio un “zavaglio” fino alle caviglie, che intanto magari dreni la panza.. altrimenti chiamata: curva del benessere.
Si vede che a sto giro sono stato benissimo, allora! Eppure mi sembrava che qualche temporale psicotico avesse raggiunto il mio tetto. Non so, la primavera mi distrae.
Dunque dicevo: è maggio, e io ho decisamente bisogno di prendere un filo di sole. Mi sono sempre sentito un po’ Clara, regina indiscussa della casa degli spiriti allendiana; ovvero verde muschio e nel contempo trasparente traslucida! Quest’inverno però sono entrato troppo nel mood. Sarei perfetto per fare il cadavere macilento per una puntata di C.S.I.
Ehhhhh, la fatica del duro lavoro, penserà qualcuno. Tutti gli altri rideranno di cuore.
Però il matto non va mai da solo, ma sempre in compagnia di altri matti. E io coi matti ogni tanto ci ceno, perfino. E la mia sister cornflake matte, è la più matta di tutte! Cucina cose matte anche!
Insomma, io già matto, con altre matte, in una cena matta… eravamo una allegra brigata! E mi si è chiesto perché non scrivessi una sceneggiatura. Perché non avessi mai pensato di dar voce a ciò che ci riguarda tutti. L’impossibilità di essere capiti nell’amore. L’incredibile sforzo spremuto per raggiungere un comune codice di espressione. Dire una cosa come: amore mio, quel che provo per te lo capisco benissimo e mò te lo spiego!
Sarà che è il mio grande cruccio… sarà che sudo sette camicie. Sarà che riderci su sarebbe pure un bel modo per ironizzare. Così mi sono messo al lavoro. All’inizio ero un pelo dubbioso sull’impresa! Poi, come spesso succede, superato l’imbarazzo della pagina bianca… eccomi lì, eccoci lì. E ci eravamo tutti sapete?
Oh no! Non sottraetevi! Non pensiate che la cosa non vi riguardi!
Sono andato in tangenziale, e ho rigato una scritta di qualche anno fa, poggiata su un cartello per uno svincolo! La scritta era: “ Dio c’è?”. Era una domanda! L’ho sostituita con un’altra domanda. Ancora più incerta, ancora più sibillina:
“ e l’amore cos’è?”
Sembra una canzone dei Ricchi e Poveri… come dicevo: la primavera mi distrae!

Saturday, April 14, 2007

07. you learn. mp3


Ho un’immagine di me, vecchia di dodici, tredici anni. L’aria del mediterraneo era il mio cielo. E le strade che camminavo, erano strette e umide di sera. Sempre in sella al mio motorino rosso, sbeffeggiavo le raccomandazioni materne, e non mettevo mai il casco. E in più, da vero incosciente, avevo sempre le cuffiette del mio walkman alle orecchie. Erano i tempi in cui i cd erano non dico un lusso, ma quasi. Registravo dalla radio le mie canzoni preferite. E ogni mese avevo la mia top-ten. Ma un anno, per un intero inverno, fu diverso. Pulii il garage di mio padre, ed ebbi come ricompensa i soldi per compare un disco. Niente più speaker a inquinare le pause fra una traccia e l’altra. Niente più scossoni o distorsioni. Una cassetta che durava circa cinquanta minuti. Era il 1995 e trovai la mia ossessione. Si chiamava “jagged little pill”. Era davvero musica per le mie orecchie. Perché la rabbia di quella ragazza, andava parallela a un’inquietudine che io provavo. Erano sentimenti probabilmente diversi, ma che venivano a galla nonostante tutte le remore e le resistenze.
Alanis Morissette divenne i mio cristo segreto. Da ascoltare. E ogni cosa mi circondasse, pareva essere già spiegata in quelle tredici canzoni. Da lì a poco mi sarei innamorato. Avrei finalmente scoperto angoli di me fino ad allora solo immaginati. Quel disco, quella musica fu come il mio training.
Negli anni successivi ho provato altre passioni simili. Ho consumato cd interi, che oggi suonano in maniera piuttosto discutibile. Ma nessun’altro disco ha provocato lo stesso impatto in me. Era l’esatto suono della mia libertà, della mia emancipazione.
Dopo dieci anni Alanis ha rieditato quel suo primo lavoro, in maniera morbida. Rendendo un suono acustico a quelle parabole. Io l’ho scoperto solo da poco, meravigliandomi anche di questo. Posso dire che quel che è seguito a jagged little pill, non era del tutto apprezzabile. Il classico caso in cui gli esordi hanno un significato, e quel che viene dopo è il faticoso affanno verso la conferma perenne. Difficile che fosse così facile. Io fui solo uno dei ventiquattro milioni di persone che comprarono quel primo disco. E capisco sia probabile scontentare qualcuno, nel cammino che prosegue.
Alanis, comunque, mi ha insegnato a intendere ogni cosa che ci accade, come un insegnamento. A non temere che la fiducia manchi, il giorno in cui ci sentiremo solo sfortunati. A quindici anni ho imparato come tutto accada per qualche ragione, e che da quella ragione si possa fare risorsa.
Così, per l’ennesima, mi rendo conto di quanto abbia ragione. Nell’aver superato un’altra boa, nell’aver misurato il mio amore, e fatto vibrare la nota che può raggiungere nella sua estensione.
E come imparo io, impara anche lui. Quel lui di cui tanto parlo. E che mi è così vicino.
Gli amici si raccontano, e io ascolto. La lezione è sempre la stessa. Fatta di cose piccole, su molte delle quali il nostro mondo si regge in piedi.
Stare insieme, dividersi, spiegare, è una lezione per tutti. La sola traccia, che commuove e tiene strette le mani attorno alla vita dell’altro, è la voglia di imparare, ignorando la fatica. Finché si può.

You live, you love, you cry, you lose, you bleed, you learn.

Wednesday, April 04, 2007

Back to me


Mi sentivo oppressa dalle coperte pesanti del mio letto. Lo stesso letto dai pomelli rotondi, dentro il quale ero cresciuta. Ma non abbastanza. Non ancora, almeno. La notte non copriva la paura. Il bruciore delle tempie. Pensavo all'inganno, a quanto mi sentissi imbrogliata dentro la sua bugia. Eppure. Eppure l'avevo sentito piangere. Cos'era esattamente? La forma perfetta del suo sesso nascosto dalle mani. Era la mia stessa forma, protetta, interna. Precisa come una malformazione non potrebbe essere. Un taglio esatto, e incomprensibile.
Marte, aliena e ruvida specie di sagittario. Una bestia celeste. Un mostro.
Quella notte il mio naso rimase chiuso, premuto sul cuscino. Fissavo il buio, cercando di prendere sonno. Mi sentivo legata a quell'umore, come mai prima di allora. Cos'era esattamente? La riva di un mare nero, dentro il mio primo sogno. Un mare dove i pesci mordevano le caviglie, fino a deturparti l'anima. Un mare di sconforto, di abbandono e solitudine. Era la mia speranza, la caduta libera verso l'inesplorato. Sulla superficie galleggiavano brandelli di corpi umani. carcasse di donna e di uomo, fusi insieme in alchimie impressionanti. Un pesce rabbioso mi raccontò all'orecchio che Marte era il re di quel mare scuro. Sedeva su un trono fatto di diverse combinazioni. E sdegnava le mie grida di aiuto.Il giorno mi svegliò, lasciandomi dentro l'inquietudine, come un odore. Nuovo.

" Amore... hai dormito male? Sembri sconvolta....
" Solo un brutto sogno, mamma...
Pesavo la realtà e il sogno. Sicura di cosa fosse peggio. La mia fuga mi aveva portato dentro la vita di sempre. Potevo dimenticare forse. Eppure il suo pianto, mi lasciò dentro l'eco. Un collare a strozzo che mortificava i miei slanci, verso i soliti amici, il solito lavoro, le solite attese.
" Che programmi hai oggi Lidia?" chiese mia madre, sbucciando un'arancia.
" Passo in studio... poi vedo!
Ogni parte di me, anche la più piccola, si convinceva che avrei sofferto. Spalmavo sul pane confettura di albicocca. Lucida, quasi brillante, rifletteva il mio viso distorto. Tornata nel mio mondo anch'io come aliena. Sembrava tutto diverso, scomposto. Troppo silenzioso.
Iniziò a nevicare. I passi corti dei bambini, i tetti umidi, le ore brevi del giorno, ognuno di noi si preparava alla posa dell'inverno. Io fremevo, come ali di cicala sulle mie palpebre.

Tuesday, March 20, 2007

6


Sei.
Era caldo. E avevo una birra fra le mani. Un bicchiere di cartone che scivolava tra i palmi di mano, umidi. Sei mesi che sei qui, tra le mie cose.
In questo frattempo, i bambini di prima elementare hanno imparato a leggere, a scrivere e far di conto. Questo tempo li ha alfabetizzati, consegnando loro la possibilità di un futuro; glielo promette. Questo frattempo ha educato anche noi, a un tipo di alfabeto diverso, obliquo rispetto al solito ABC. Non penso sia poco. È tempo che è corso veloce su di noi, ma che a me è rimasto dentro. Ora che ci sei, non mi è mai sembrato scontato che mi stessi accanto, che mi sopportassi, e che allentassi il giogo delle tue resistenze, lasciandoti andare a me.
I miei occhi su di te hanno imparato a essere diversi; e a volte diversi sul mondo intero, proprio attraverso te. E per questo non ho parole che suonino più forte di un grazie.

Sei ancora la mia risata più bella.

Wednesday, March 14, 2007

Mi familia


Mi familia. Sconclusionata per volontà. Girotondo di anime in disordine.
Viviamo tutti, o quasi, in una piccola ombra del mondo. Le nostre case di legno tarlato, e televisioni piccolissime. Caffettiere annerite e tazzine sbeccate. Squat con addosso magliette a righe, orizzontali come i destini, e allstars color fruittella ai piedi. Amici del mio tempo, che ho cercato dietro gli angoli di ogni tragitto. Condividiamo lo stesso orizzonte. Le stesse belle speranze del giorno che sorge. Inermi, stesi sul parquet, in una sera qualunque; ci troverete lì, a sognare notti più morbide. Cresciuti in angoli diversi, dal mondo nascosti. Questo nostro chiostro è l’esatto altrove che abbiamo immaginato, progettando la fuga dai nidi materni.
La mia gente spera bene. E con l’amore ci proviamo. Concorrenti a staffetta, di un imprevisto percorso a ostacoli. Sigarette spente a ore profonde, di quel buio che ci spaventa. Che ci riguarda. E il cicaleccio di tutti i consigli da inzuppare nel tè. Sbricioliamo abbracci privati sopra qualche singhiozzo che dimenticheremo.
Ricordiamo invece il sapore della solitudine. Un sapore amaro sulla punta della lingua, per tutti gli anni in cui ci siamo mossi tra gli occhi chiusi degli altri.
Oggi è invincibile l’attenzione delle braccia tese oltre ogni delusione. Ed è famiglia, quella che vedrete sedersi a una tavola. È una famiglia quella che si riunisce attorno a un letto d’ospedale. È ancora una famiglia, quella che sventola un fazzoletto al binario del treno, prima di una partenza.
Nessuno di noi ha avuto fortune sfacciate, ma siamo miracolosamente in equilibrio. Ognuno di noi ha qualcosa da ingoiare, ancora. Ma siamo tutti sotto il sole, a goderci il nostro tempo da perdere.
La mia posse, segreta a un altro mondo, che ignora. La mia gang, che semplicemente conquista il terreno di un futuro già meritato.

Friday, March 09, 2007

Oltre il mio inverno


Scrivere di nuovo. Succede davvero. Come tornare a casa. E fermarmi un attimo. Guardare intorno, con le valigie ancora chiuse in un angolo.
Come state?
Le suole delle mie scarpe sono un poco consumate sul bordo. Ho camminato in tondo, chiudendo gli occhi per perdere l’orientamento, il senso del tempo. E ho fatto tardi.
Mi capita che, quando i miei pensieri sono in corto, ho paura di mettere per iscritto la mia vita. Che possa rimanere così aria, da respirare; ma che forse non esiste davvero. Nego a me stesso la verità, finché una parte di me non si ribella. Quindi sì: a chiunque me l’abbia chiesto, rispondo: ho avuto delle cose da sistemare, un viaggio da fare, sonno da perdere in lunghe notti. Da qualche parte ho letto che le vere distanze, i veri percorsi inerpicati, sono quelli che dividono le persone. Ho colmato quel vuoto, quei passi e la loro fatica.
Ed eccomi qui. Di nuovo.
Ma non come prima. Ho imparato qualcosa sul destino, sulle scelte, su quei brevi momenti in cui puoi decidere davvero. E la responsabilità è una brutta bestia, una maschera sfigurata che abbiamo dentro, una delle tante sembianze di noi che appare allo specchio di sorpresa. E il momento suggerisce il da farsi. La voce del grillo parlante… ovvero il desiderio che emerge sulla paura del fallimento.
E se fallissi? Se ci si sbaglia? Ci si può perdonare? Il fiato corto di una rincorsa alla perfezione, forsennata, cosa ci lascia? Noi, noi tutti, solitudini imperfette, facciamo quel che possiamo. E io posso fare quello che ho fatto. Rimanerti accanto, e cercare di essere il meglio. Ma se non posso, o non potrò, voglio una cazzo di consolazione, che mi asciughi le spalle dal peso.
Ho avuto il mio inverno, sotto questo strano sole caldo. Ho avuto il mio gelo, che sgocciola dai tetti.
E ora che sono a casa, non disferò le mie valigie. Dentro ci sono solo mille inutili coperte pesanti. E tu, mi hai promesso giorni da tropico.

Thursday, February 15, 2007

Quietly Medea.

Dimmi che resisteremo. Dimmi che questa notte potrebbe essere lunga abbastanza. Il piumone ci si arriccia sulle gambe. Ho visto quello sbaffo di cacao sulle tue labbra. Dove hai messo l’ultima fetta di torta?
Mi dispiace per le cose dette. E non parlo solo dei dubbi. Ma anche per tutte quelle cose che profumano di certezze. Devo smettere di contare le volte in cui infrangi le mie regole. Tu hai le tue.
Il gioco, il nostro.
La mia Medea intercostale si è seduta al buio della sua tana, a destra del mio cuore. Si è arresa alla quiete della scorsa notte. Le mie scarpe sono ancora sporche per le battaglie varcate. Ricordo ancora il rumore di una porta che sbatte, mentre corro giù per le scale, mentre scavalco le belle speranze di un amore ammaccato. Quel momento è così lontano da noi oramai. Tu ancora non esistevi, ma Medea resiste da allora. Medea si è sempre agitata nel suo cerchio di passi e sospetto.
Dammi l’amore disordinato, senza tempi da rispettare, senza premure da manuale.
E io lo prenderò, così com’è. Lo vorrò migliore forse ogni tanto. Magari ancora qualche volta ti farò il muso, e tu mi farai il verso, strappandomi una risata contro la mia volontà. Farai finta di non ascoltarmi. Ma non sentirti in difetto se crederai che non basti. Non ti ho mai detto che è più di quanto potessi sperare.
Ho le mie ferite. Le hai viste e ti sei preoccupato. Se non hai fatto nessun passo indietro, è perché hai avuto coraggio. Sono ancora in grado di riconoscerlo.
Perché siamo un casino. Sia io che te. Perché ci siamo incontrati, e questo ha un senso.
Non tutto deve essere perfetto; mi basta solo che sia nostro.


Senti che fuori piove… senti che bel rumore.

Monday, February 05, 2007

Ogni mia cosa


Ogni mia cosa adesso è per te.
Perchè mi fai più gola di un panino di McDonald. (con sesamo e lattughina anche)
Perchè se ti mordo, sei felice che io sia così ingordo.
Perchè se ti stuzzico, tu diventi alquanto buzzico.
Perchè se ti bacio, pensi che io sia anche macho. (questa poi!)
Perchè se ti vengo a trovare, tu a casa non mi vuoi più accompagnare.
( che mi tocca prendere l'autobus...).
Perchè quando facciamo l'amore, lo facciamo per delle ore!
Perchè la mia musica tu non la puoi sentire, ma fai ugualmente finta di gradire.
Perchè non so cucinare, e qualunque sbobba, col sorriso, ti tocca mangiare.
Perchè di me non ti vergogni, anche se ne dico di ogni.
Perchè fai sempre il gesto di voler sparecchiare, anche se i piatti alla fine non li vuoi mai lavare.
(oh per dire... mai manco una volta, neppure per sbaglio!)
Perchè mi hai regalato un anello, uno vero, che si mette al dito e non sul pis...
Perchè mi baci sempre alla mattina anche se il mio fiato sa di cantina.
Perchè dai i voti ai miei rutti, anche se rispetto ai tuoi sono sempre più brutti.
Perchè mi abbracci forte, anche se hai le braccine corte.
Perchè non mi dai mai retta...
perchè sei la mia POLPETTA!!!

Perchè sei come pura vita che mi è venuta incontro di corsa,
e innamorarmi di te è stato inevitabile, come un singhiozzo.
... e fanculo la rima!

Wednesday, January 31, 2007

Post al futuro.

Oggi è il 31 gennaio 2017.
Non ho mai visto un inverno freddo come questo. Da anni i media ci preoccupano con la minaccia della desertificazione. Eppure Bologna oggi si è svegliata sotto un mantello di neve a maglie strette.
Sarà il tempo, oppure i miei trentasette anni suonati, ma in questo momento ho uno strano senso di malinconia che mi pervade.
Misuro a piedi scalzi la mia casa. È come se ci vivessi da sempre. E invece non è ancora mia del tutto, e i tempi in cui stavo in affitto in fondo non sono così lontani. L’uomo con cui vivo, di cui vi parlo spesso, è il mio compagno. Ci siamo sposati quattro anni fa, e ciò che ci unisce è l’indomabile paura di perderci, di non riconoscerci più, impegnandoci affinché questo non accada mai. Guardo quello che abbiamo costruito. La nostra vita è diventata come speravamo. Abbiamo fatto in modo che tutto ci somigliasse. Che ogni espressione alla quale ci affidiamo, ogni gesto che ci riguarda, appartenesse a entrambi; raccontasse di noi.
Abbiamo faticato perché le nostre famiglie capissero, accettassero. E a guardare indietro, adesso, sembra incredibile che ci siamo riusciti davvero. Da quella inutile legge di dieci anni fa, che tentava di non scontentare nessuno, oggi ci sembra ancora così incredibile, pur ricordandoci l’emozione di quel referendum; il momento in cui potevamo permetterci di considerarci davvero una famiglia. Negli ultimi sei anni siamo stati invitati a una quantità di matrimoni davvero esorbitante. Il primo a raggiungere la vetta è stato Matteo, la mia vecchia sister. Noi ancora oggi lo chiamiamo: la pioniera. Ricordo di avergli sentito dire sì, e di aver sperato che un giorno capitasse anche a me. Poi il mio uomo, in altri tempi futuri, mi avrebbe tenuto stretto una sera d’estate, in Sardegna davanti al mare. Abbracciandolo gli avrei detto che per me andava bene, che non potevo dire che sì, anche io, e promettergli ogni cosa. In questi ultimi anni ho visto amici lasciare la città, per seguire il proprio amore oltremare, o cercare fortuna in paesi stranieri. Mi meraviglia e commuove, contare nella matematica semplice, di cinque dita, come ognuno di noi se la sia cavata. E pensare che ci davano per dispersi, per reietti. Mi accorgo anche di come le nostre madri abbiano smesso di preoccuparsi, e abbiano iniziato a essere fiere di vederci col fiatone, e chiusa nel pugno la nostra meritata felicità. Chi di noi in qualche modo non si è sentito un soldato, per coloro che verranno?
Che mondo era quando tutto era proibito? Quando le coscienze di inchinavano davanti a un segno della croce? Che mondo era il nostro, quando la ricerca faceva a meno delle cellule staminali? E che mondo sarebbe stato invece, senza i figli nati oltre l’amore, per mano della scienza? Che mondo poteva essere se l’HIV avesse continuato a graffiare? Penso a cosa sarebbe oggi la mia famiglia se il cancro non avesse trovato una cura.
Mi piacerebbe che il mio terzo romanzo parlasse di questo. Della fatica di noi guerrieri che siamo sopravissuti in quella lunga notte che facciamo fatica a dimenticare. Mentre la neve cancella le tracce, e il tempo ignora ancora una volta l’ignoranza, la diffidenza, la paura per quel che ancora non conosciamo.

Tuesday, January 30, 2007

Friday, January 26, 2007

L'inciucione


Ed eccomi qui!
Prima che lo diciate voi, lo dico io! I colori di questa foto, compresa la saturazione e contrasto del tutto, sono stati "leggermente" rivisti! Ma insomma, abbiate pazienza! Ho finto di essere un figaccione, che in qualche modo dovevo pur tener botta!
E giunto all'ultimo stadio di esposizione di me... beh ecco... sono contento di dirvi che dietro a tutte le parole lette fin qua, dietro alla mascherina da lingualunga, c'è questa faccetta seria e questo baffetto sparvierissimo... che ha cercato come può di assumere un'arietta sexy e truce, nonostante la calura di quell'assolatissima mattina di mare.
Contenti?

Tuesday, January 23, 2007

Io e Cosetto

Io e il mio Cosetto ci conosciamo da una vita. È uno dei miei più vecchi amici e siamo cresciuti insieme, nel vero senso della parola! Qualunque posto del mondo io abbia visto, e qualunque casa io abbia abitato, lui è sempre stato con me, rintanato in un cantuccio ma sveglio. Quando eravamo piccoli lo tiravo in continuazione, ovunque mi trovassi. Mio padre un giorno se ne accorse, mi prese da parte e mi disse che non era una cosa carina da fare. Qualche anno dopo scoprii che quel che mio padre intendeva esattamente era: tiralo se vuoi ma evita di farlo in pubblico!
Mi piace Cosetto, perché è testardo e a volte decide per me. Quando ha visto dal vivo una Cosetta, e parliamo di dieci anni fa, mi ha guardato e ha detto: “Ma è brutta, e poi cos’è questo strano odore! Beh se mi passate un phon al massimo le faccio una piega ai capelli!”. È che quando si mette un’idea in testa è difficile distoglierlo.
Mi è sempre sembrato un piccolo bimbo, cicciotello con le braccia cortissime, quasi invisibili. È un abitudinario, dorme sempre rivolto verso destra, di sveglia prima di me e sta ore sotto le coperte a stiracchiarsi.
Ha un animo socievole. Quando ho lasciato il fidanzato anni fa, e ho cambiato casa, lui mi ha guardato dritto in faccia con quel suo occhione a mandorla e mi ha detto: “è tempo di farsi nuovi amici”. Adesso ci troviamo a sbracciarci in un grande girotondo, ancora più grande della tim tribù (alla faccia di farci nuovi amici!). Mi piace anche perché non serba rancore, a differenza di me. Mentre io con qualche persona faccio fatica a scambiarmi perfino un semplice ciao, lui è in genere più mediato. Nel senso che una strusciatina per lui risolve qualunque genere di dissapore. Come i gattini quando reclamano cibo, che prendono a testate i padroni, anche Cosetto, quando decide dove andare, insiste al punto che è difficile dissuaderlo. In genere sta simpatico a tutti o quasi. È di animo generoso e per questo motivo si fa voler bene.
E poi è un chiacchierone. Adesso vuole stare sempre in compagnia del Cosetto di Luca. Una volta li ho sentiti. Io e Luca stavamo dormendo e loro a bassa voce si mettevano d’accordo. Sono scivolati giù dal letto e hanno aperto il frigo. Hanno piluccato qualcosa e poi si sono messi a fare lo scivolo d’acqua nel lavandino del bagno. E ridevano come matti. Sono diventati grandi amici. E se non si vedono per una sera, si telefonano e sghignazzano per i fatti loro.
Sempre insieme io e lui: siamo una squadra. Io voglio bene al mio Cosetto e…. guai a chi me lo tocca! Ahahahahahahahah (ma siamo seri! Altroché guai!).

Thursday, January 18, 2007

La mia mamma

Mia madre è bionda, pelle di porcellana bianca e occhi grigio ghiaccio. Che a guardare me, geneticamente Calimero, sembra piuttosto improbabile io spartisca alcun cromosoma con lei. Ma in realtà ci assomigliamo. Lei sembra un’attrice francese, dotata di una inquietante rigidità alquanto morbosa. La classica faccia da killer. Guanto di pelle nella borsetta e rossetto vermiglio sulle labbra.
La mia mamma guida sempre e solo in seconda. Sa bene che ci sono altre marce, ma dice che lei tanto va piano. Un giorno, sono sicuro, la vedremo decollare come sopra un elicottero. La mia mamma è un’ottima cuoca, peccato però che le abbiano diagnosticato il diabete qualche anno fa, e mò sticazzi che cucina cose golose e succulente come una volta. Presenta alla famiglia piatti rigorosamente ipocalorici. Anche a Natale i dolci li vediamo solo se guardiamo la Clerici in tivvù.
Mia mamma ha messo al mondo tre figli, e li ha visti andare via di casa, uno dopo l’altro, e seguire ognuno la propria strada. Ora dice di sentirsi un po’sola. Ma di nascosto secondo me tira un sospiro di sollievo e gioca la parte della chioccia senza più ragion d’essere.
Mia mamma fumava fino agli anni ottanta. Qualche sigaretta alla sera. Ha ripreso superata la metà dei novanta. Spipacchiava di nascosto, chiusa nel suo bagno. Aveva paura che mio padre si imbufalisse, cosa che poi effettivamente accadde. Io allora avevo sedici anni o giù di lì. Lei ha saputo solo dopo qualche anno che anche io lo facevo, seduto per terra nel terrazzo della mansarda. A pensarci ora, avremmo potuto avere un’occasione di complicità, che invece ci è mancata.
In quegli anni le dissi di essere gay e lei rispose una cosa simile al: “ E che credi, che non lo sappia?”. Oggi nega di aver detto una cosa del genere. Come fosse possibile che un adolescente dimentichi il momento del suo coming out. Eccerto!
Mia mamma adora riferirsi a sé stessa in terza persona. Un po’ come il papa. La mamma ti ha detto, la mamma ti ha fatto, su coraggio dillo alla mamma, accompagna mamma qua, fai a mamma questo favore etc etc. Da qualche mese esiste la versione: Nonna. La struttura è comunque la stessa.
Vedo mia madre tre, al massimo quattro volte l’anno. Lei non viene quasi mai a trovarmi: dice di avere paura di quel che può trovare in casa mia! Io la sfotto ma sappiamo tutt’e due che esiste un famoso scatolone, che viene prontamente deposto in cantina ogni qual volta lei atterri a Bologna.
Capisce sempre qual è il mio umore. E intuisce al volo quando mi innamoro. La frase è sempre la stessa:
- Dì la verità a mamma: c’è qualcuno per lo mezzo?
Non mi riesce di negare più di due, al massimo tre volte.
Quando due anni fa ho lasciato il mio ragazzo, e la mia convivenza si è mestamente arenata, mio fratello mi ha confessato di averla vista piangere. E adesso?- si domandava!
Quando le ho confessato il reale motivo del perché avessi deciso di concludere la mia relazione, lei, senza fare una piega, ha allontanato il ciuffo biondo dagli occhi, e senza guardarmi ha chiosato così:
- Ma non mi dire… sembrava tanto un bravo ragazzo… che razza di stronzetto!
Non ne abbiamo mai più parlato.
I miei fratelli sostengono che, più io cresca, più io stia diventando come lei. E la cosa onestamente mi fa paura.
Lei, mentre mi portava in grembo, sognava di partorire una bambina, e di chiamarla Emilia. Io in emilia alla fine ci sono andato a vivere, e direi che non è l’unico aspetto verso il quale ho cercato di accontentarla. Ma ho il dubbio che lei non sia tanto entusiasta quanto me di tutto ciò!
Beh, peccato!

Monday, January 15, 2007

Meraviglia

Mi meraviglia che il tempo passi così in fretta. Mi meraviglia scoprire di avere ancora un biscotto in fondo al barattolo. Mi meraviglia che per qualche ora il sole asciughi la nebbia alla mattina. Mi meraviglia una telefonata di mio padre, per sapere come me la cavo. Mi meraviglia prendere sonno subito dopo cena. Mi meraviglia che Britney Spears non abbia deciso di mettersi a dieta. Mi meravigliano le lacrime di un amico sulla mia maglietta, che si asciugano lente.
Mi meraviglia moltissimo rileggere le mail di due anni fa, e non riconoscermi affatto. Mi meraviglia questo cuore che si riscalda ancora e scoprire che mi piace il rumore che fa. Mi meraviglia ogni volta vederti sorridere mentre ti sveglio a suon di baci sugli occhi.
Mi meraviglia sempre vedere Alghero dall’aereo che atterra. Mi meraviglia che i miei vicini non si lamentino del volume della mia musica.
Mi meraviglia leggere le mie cose tradotte in altre lingue. Mi meraviglia sapere che qualcuno si commuove per qualcosa che ho scritto. Mi meraviglia da tanto contare quelle poche persone che ci sono sempre per me, e trovarmele affianco da una vita o quasi. Mi meraviglia sapere che voltare pagina non è così difficile come si teme. Mi meraviglia avere la sensazione che qualcosa di grande e importante stia per accadere. Mi meraviglia sentire che le giornate si stiano lentamente allungando. Mi meraviglia che i saldi siano già praticamente finiti. Mi meraviglia che tu pensi di infastidirmi mentre dici: “che bono quello”, a qualcuno che sta in tivvù; più o meno quanto mi meraviglia scoprire che in effetti un po’ mi infastidisce.
Mi meraviglia pensare che il mio fratellone si sposi a settembre. Non mi meraviglia vedere mia madre che già da di matto.
Ogni tanto mi meravigliano i miei pensieri, i miei sbagli, le cose che dico e le cose che mi sento dire. Mi meravigliano gli alibi e le dita delle mani dietro le quali nascondersi. Mi meravigliano le cose inaspettate che accadono, alle quali lentamente ci si abitua, ma con piacere. Mi meraviglia quando qualcuno si salva per mezzo della rinuncia. Mi meraviglia il coraggio altrui.
Mi meraviglia rendermi conto che c’è sempre una probabilità per tutto, e che niente sia dato per scontato. Mi meraviglia chi ha imparato così bene il mestiere di vivere.
Mi meraviglia e mi conquista constatare quante cose l’amore muova.
E mi fa stare bene, stare qua e attendere i giorni che abbiamo davanti. I giorni futuri che si vedono già come onde alte sulla linea dell’orizzonte.

Wednesday, January 10, 2007

My day and the play

Ovvero: Canzoni per fare le cose.

Apro gli occhi col piumone ancora fino al naso, e il mio Ipod suona Paolo Nutini- These streets.
Mi faccio il mio caffè, un po’ più lungo di quelli che seguiranno, mentre suona Joan APW- The Ride.
Poi accendo il pc, e dalle casse mi viene addosso Trust me dei The Fray, a volume alto che tanto non mi sveglio mai tanto presto. I miei vicini (tutti e dodici) sanno che ora di pranzo solo se sentono questa canzone.
La prima paglia della giornata ha diverse varianti: ne conto almeno tre:
*Charlotte Gainsbuorg -5:55.mp3
*The Tellers –Second category.mp3
*Albert Hammond jr -101.mp3
Poi la doccia, e sfido il freddo con coraggio, mentre Pink batte pesa U and Ur hand. Se l’acqua è perfetta e mi trattengo in bagno, non corro rischi. Il media player sa di dover procedere oltre. Magari coi Red Hot –Tell me baby. Cantata a squarcia gola, senza affogare nella doccia per aver bevuto troppa acqua magari. Non se lo meritano di avermi sulla coscienza.
Poi:
al telefono con The Kooks –Naive. Accetto senza difficoltà anche la cover di Lily Allen, decisamente più minimale e indie.
Scrivo con Ludovico Einaudi…. Suoni a caso. (li ho tutti)
E ovviamente Jay Brannan, con Soda Shop o altrimenti anche Half boyfriend. Ma di Jay metto su davvero tutto, di quel poco. E se lui è bravo e si sveglia presto in quel di NYC, magari suono la sua musica mentre chiacchiero con lui su msn (eggià….. succede anche questo).
Poi, per fare l’amore nel prima e dopo (durante preferisco altra musica), put the coin and:
*Christina Aguilera –Dirrty.mp3
*Joan Wasser _Sweet thing.mp3
*Counting Crows –Colorblind.mp3
*Dave Mattews Band & Soulive _Joyful girl (Ani di Franco cover).mp3
*Juston Timberlake –Sexy back.mp3
*Lionel Ritchie and the Commodores –Easy like Sunday morning.mp3
*Orson – No tomorrow.mp3
*Regina Spector –Fidelity.mp3

A notte fonda, quando ogni cosa è immobile, torno al mio Ipod... e mi lascio andare con i Negramaro e la loro preziosissima Solo per te. E Anthony, mi fa sparire il giorno sulle ciglia socchiuse. You are my sister, Bird guhl, For today I’m a boy….
E buonanotte.

Tuesday, January 09, 2007

Più 30 che 20

Facile a dirsi. Come quando si approssima in matematica, che, superato il decimale del cinque, si arriva al conto superiore di un’unità. Già dai venticinque anni e mezzo, si è orientati alla decina del tre davanti. E quella è determinante. In realtà la tua vita va avanti come sempre. È piuttosto la coscienza che ne risente. Quando fai le tue solite cose, pensi che sarebbe il caso di smetterla. Come per esempio fumare. Io sono da tre anni che mi ripeto che a trenta smetto. Motivo questo per cui io abbia deciso di avere ventotto anni almeno almeno per i prossimi sei anni.
Poi, il trentenne va a ballare, ma non si lancia in pista per primo. Magari si avvicina al bar, a bere una birra, che i super alcolici non li si smaltisce più come una volta. Quando si hanno vent’anni si salta da una parte all’altra della pista, si ancheggia e si seduce il pubblico. E lo stesso ventenne, ma a trent’anni, quando e se messo in mezzo, si ritrova per caso su un cubo per il compleanno di un amico, preferirebbe che terra madre lo inghiottisse, masticandolo anche, o che Iddio lo chiamasse a sé in quell’esatto istante, anche per fargli pulire le scale del regno dei cieli ( che chissà quante sono… voglio dire, fin su al cielo addio proprio!).
Poi, altra cosa che i trentenni fanno ma, insomma mangari anche no: baciarsi avidamente in pubblico!
Quando si hanno vent’anni si fanno le prove di bacio artistico sull’anta dell’armadio prima di una serata. Magari con in cuffia un pezzo, per allenarsi a seguire il ritmo giusto. Dancefloor lemons. A trent’anni, se conosci uno in un locale, e lui tenta di baciarti, cerchi un angolo buio. E si smentisce sempre! Io? Quello? Un bacio! Ma va! Macchè lingua!
I trentenni non ballano alla moda, non conoscono quasi più le hit, e se tentano di cantare sopra un pezzo che conoscono, finiranno per sbagliare il testo. I ventenni in genere, quando fanno da contorno a queste scene ( e ce n’è sempre qualcuno attorno), sono capaci di ricoprire di pietas e commiserazione il trentenne con un solo colpo di spalle voltate (Immaginateveli, con magari ancora tutti i loro capelli in testa… che stizza!)
A me è capitato che un bellissimo ventenne di cui non farò il nome: Matteo, mi dicesse che gli garbavo, ma che ero in sostanza troppo vecchio! Io vecchio? Strana la vita. I miei genitori sospettano di me perché troppo ragazzino, e chi è ragazzino davvero, non si fida di me perché troppo vecchio. I trentanni o quasi sono la terra di mezzo.
A trent’anni non hai più gli sconti in aereo, e se per caso fortuito ti capita di essere ancora uno studente, le cassiere del cinema ti fanno il terzo grado per darti la riduzione del biglietto all’ingresso. A vent’anni conoscevo tutti i pr dei locali giusti; con un gesto mi si aprivano le porte. Adesso i pr sono tutti dei bimbetti un filo esaltati, che quando ti vedono ti dicono: aspetti un attimo e la faccio entrare. Sottolineo che mi danno del “lei”, e non nel mio senso preferito! Sottolineo anche che quell’attimo fuori all’addiaccio non è mai un attimo, ma minimo quaranta minuti.
A trent’anni non puoi più diventare famoso se sai ballare o cantare, a meno che non eviri qualcuno in piazza, ballando o cantando non importa, che allora finisci al tiggì.
Se si hanno quasi trent’anni, non si fanno gli squillini per salutare gli amici, né tanto meno si scrivono sms con le kappa (quello manco a venti magari eh?). E poi a trent’anni non è più possibile pagare le bollette sempre in ritardo, né non avere una minima idea politica.
E se si è fatto prima con la massima incoscienza… se a trent’anni scopi senza preservativo sei un emerito coglione.
E poi a trent’anni magari la smetti di mettertene troppe, su quello che potresti o non potresti fare. Man mano che si invecchia, molte cose si dovrebbero rivalutare: prima fra tutte… il senso della vergogna?
(…. Magari…..).