Wednesday, October 31, 2007

Quest'oblio

La pioggia è sparita, sciolta in aria che punge la pelle. Il mio tempo non conosce la noia. In un giorno che nasce strano e che sai che placato e prevedibile non sarà. Non resisterà fino alla fine, così come lo vedi. Nelle mie mani c’è l’ambizione di una storia da raccontare, quand’anche non bastassero mille e uno tentativi. In tutta la mia vita, o almeno in quella che ricordo, mi sono perso spesso. Mi sono negato a me stesso, e per sentimenti temporanei, accecanti. Oggi no, oggi è diverso. Non mi sono mai conosciuto così bene. Oggi mi godo il lusso di non saper più mentirmi, pur sapendomi ingannare benissimo.
Ho un uomo accanto che vedo per come è, senza invenzioni, senza idealistiche proiezioni. Accetto i limiti delle mie capacità, e rendo approssimativo il controllo di me, nel dubbio di quel che succederà.
Questo è il mio bellissimo oblio di liberà.

“Forse la sua caratteristica più rilevante era la sua capacità di camminare sereno in questa città di pietre grigie e mattoni gialli, dove il vento che soffiava poteva ridurre a spilli i cuori delle persone”
M.Cunningham, da “Una casa alla fine del mondo”

Thursday, October 25, 2007

Orgoglio e percosse


Sono un rompiballe; discuto per tutto o quasi, e pesto i piedi se non mi dai udienza. Voglio essere accontentato, curato, coccolato. Voglio tutto, e che il tutto sia per me. Vorrei che fossi sempre allegro, felice di vedermi e con una matita in tasca all’occorrenza. E quando mi incazzo sono sgodevole, tremendo, impossibile. Alzo la voce, e uso toni del tutto inappropriati.
Tu stai lì con gli occhi sgranati, senza neppure capire cosa stia succedendo. Mantieni l’espressione di sorpresa finchè non realizzi. E vogliamo parlare di cosa succede a quel punto? Ti alzi in piedi, tieni le mani chiuse a pugno lungo i fianchi e abbai. Sì. Tu abbai. Non parli ma ti mangi le parole in un unico fiato. Tu che non sbagli mai, tu che dai l’idea di fare tutto per me. Fosse davvero così mi incazzerei? Ecco.
Mentre tu latri e ti arrampichi sugli specchi (sì, fai anche questo), io mi vado a sedere, accendo una sigaretta e ti sputo il fumo addosso, per provocarti. Tu mi dedichi la migliore faccia sarcastica che ti viene. E pensi di liquidarmi con un “va bene hai ragione tu”. Ahahahaha. Più di un anno e non hai ancora capito. Non lo mollo l’osso, bello!
Mi dici di non guardarti così, che sono sempre scontento (ma quando mai, io ti adoro) e che mi piace litigare (questo forse è un po’vero).
Beh tu non ci sai fare… esageri sempre. E quando la butti sul ridere, o quando prendi le tuo cose e fai per uscire di casa? Lì dai davvero il tuo massimo. Con l’orecchio teso per vedere se ti sto rincorrendo fino all’uscio.
Stamattina abbiamo fatto venire giù il teatro. Non hai mai abbaiato così, né io replicato con tale rapidità eloquente. Una mitraglietta e tu lì a saper schivare neppure il venti per cento dei proiettili. Finché ce l’hai fatta; hai eseguito il tuo repertorio perfettamente; imbracciato la giacca, scarpe ai piedi (a dirla tutta ti stavi infilando le mie… come sarebbe stato se ti avessi inseguito, non per convincerti a rimanere, ma per darti del ladro?)
E sbam no? La porta si sbatte amore, è una cosa dalla quale non puoi esimerti! No, tu la appoggi, perché sei ben educato. Ti devo insegnare tutto, ti devo!
Comunque ci è venuta così stavolta. La prossima volta sapremo fare meglio!
Intanto decidiamo quando vederci per fare pace. Vedi? Su quello non abbiamo indecisioni; ci viene proprio bene, io ti dico che hai torto ma che ti perdono, tu mi dici che sono uno stronzo ma che ti piaccio anche così. Mai uno scusa ho sbagliato, mai sia, neppure per sbaglio.
Mi ami? Sì? Davvero? Anche io, tanto.

Monday, October 22, 2007

Ai detrattori

Direi che è giunto il momento.
Chi mi conosce sa che non potevo tardare più di tanto. Allora, cos’è per me il blog? Un tentativo, un luogo dove mi esprimo, un posto dove aggiornare amici vicini e lontani su che genere di sole sorga in quel di me. Mi sono sempre compiaciuto abbastanza all’idea che altri, facce nuove, destini ignoti, giungessero sotto questo sole, casualmente o meno, e che pensassero qualcosa. Nel bene e nel male! Spero sia chiaro altrimenti lo ripeto: nel bene e nel male.
Il blog mi ha dato lavoro; uno di quei rarissimi casi in cui questo succede, è capitato a me. E non una volta sola, in fondo.
Il blog mi ha dato occasione di conoscere persone, per fortuna belle persone, che considero spettatori della mia vita tanto quanto piaccia a me spiare la loro. Il significato è proprio questo. Leggere, con simpatia, nell’accezione etimologica più pura. Del come sia scritto, del quanto in profondità, e di tutte le grammatiche me ne sbatto il giusto.
Come passaggi che si incrociano volutamente, o meno. Questo, della blog-culture mi conquista.
E, diciamola tutta, mi piace pensare anche di avere detrattori. Perché chi divide riesce comunque in qualche proprio intento. Perché essere nel mirino fa pure un po’ fico.
Per questa ragione non mi sono mai permesso di censurare libere espressioni di disappunto. Le ho lasciate lì, perché era giusto che fossero mostrate. In tutti i casi in cui questo è accaduto, i commenti negativi sono rimasti circoscritti, e bellamente ignorati dal resto dei miei lettori abituali.
Ma. Ora a freddo considero.
Chi critica dovrebbe almeno saper argomentare il proprio disappunto, il proprio gusto intellettuale evidentemente tradito dal sottoscritto. E sarebbe anche il caso ci mettesse la faccia. Chi mi critica ha un blog sul quale andare a spulciare? Mi divertirebbe. Perché chi mi critica sa davvero fare meglio di me? Ripeto: sapete fare meglio di me? Nessuno, di coloro che abitualmente mi legge, paga per farlo. (nessuno scontento è rimborsabile). Ma estremizzo: chi mi legge non è invitato al farlo. Solo gli amici più intimi, magari, e in qualche caso, ma non oltre.
Quindi, come chiosa: chi è colui che guarda schifato fino a qua? Cosa fa nella vita? Posso considerare il vetriolo caustico come un insegnamento? O posso, come credo, attribuire lo sprezzo a qualche centimetro di cazzo mancato? A qualche turbamento della propria coscienza? A qualche nullità della propria vita da compensare?
Posso, e voglio, essere oggetto di critica. Ma questa è munnezza signori miei. Equivale al disgusto platealmente esibito delle splendide al bar che ti additano e dicono: “Mio dio che scarpe chip”.
Ecco, questa merda io no, grazie. Non è per me, né per nessuna delle cose o persone che abbraccio.
Vorrei la faccia dei vari Patrick, loggiati appositamente per darmi addosso (nell’unico modo a loro concesso, ahiloro), vorrei la faccia di coloro che rimangono anonimi, che chissàperchè!
Da cuor di leone come voi, impavidi nella lingua, mi aspetterei meno vigliaccheria.
Per tutte queste ragioni io da oggi censuro, essì! Perché se parlo di eventi emotivamente spesi mi disturba dribblare i vostri blablabla. E aggiungo una cosa che è proprio da me: so di essere bravo, di scrivere bene, di saper fare il mio mestiere, che ci crediate, che pensiate o vogliate dire il contrario.
E questo sia davvero chiaro, carissimi!
Mi aspetto il vostro, e di meglio da parte vostra. “Passibili” (?) anche voi di qualche sbertucciata.

Monday, October 15, 2007

Fairy girl

Nessuno ha bisogno, realmente bisogno di una bugia. Ma i momenti codardi sono troppi. Così una promessa spesa nel buio di una casa piccola, di cartone, in un altrove lontanissimo, diventa una bocca feroce che ci mangia, che ci tortura. Questa è la storia di un nuovo amico, che chiamerò Fa.
Dodici mesi orsono, ha chiuso il bagaglio, piegato le camicie da stirare, e un volo oceanico di dodici ore senza scalo lo ha portato dall’altra parte del mondo. Avrà pensato, Fa, di ricominciare, di ridisegnare il tratto della propria vita, di colpo diventata un’avventura da vincere. Sono sicuro che avesse qualche punto di domanda piegato origami nelle tasche. Ha tenuto il segreto ben riposto. Ma quel paese, quei punti di vista allungati a mandorla, hanno allargato la sua prospettiva, sgranando un poco i suoi sensi. Lasciare le rovine millenarie del nostro paese, e dormire in case di vetro; metà di un’ellittica per cambiare forse sin dal principio.
Era estate, questa appena sfilacciata via. Sotto il sole che si leva ma che non so se sia poi caldo. Così Fa inciampa nell’amore, temuto. E il resto ha ben poca importanza. Nudo di fronte a un altro uomo nudo. Così semplice, Fa, non lo avrebbe mai creduto. E si è perso, come chi rinasce, come chi si libera da coperte troppo pesanti poggiate sugli occhi, propri e altrui. Quel sol levante lo ha lavato dai suoi stessi segreti. Da quel giorno non ha più infilato le mani nelle tasche.
E quell’uomo, colui per cui tutto, Fa lo ha riconosciuto subito.
Come quindicenni spettinati, ma a trent’anni, hanno corso il loro tempo, bruciando i fiati. Raccontarsi le donne del passato con un filo di paura nell’ammettere che la vita era quella. Solo quella. Sono andati a vivere insieme, in quel paese lontanissimo. Sgualcire lenzuola e forse, nell’ora più tarda della notte, promettersi quel piccolo pezzo di futuro, che non basterebbe comunque.
Fa, in questo ottobre, è tornato fra le rovine dell’Italia. Voleva, credo, che gli amici di sempre lo vedessero così, perso nella sua felicità. Qualche giorno per poi correre indietro, restituito alla sua vita.
Eppure.
Sabato prima di cena il suo amore lo avvisa, con poche parole. Un lavoro altrove, in un’isola subtropicale. Una richiesta avanzata in un prima, dimenticato, che oggi fa rumore. Quell’uomo decide di partire e chiede scusa per questo.
Per chi scrive esistono dei privilegi unici, impagabili. Assistere a quel momento mi spinge oggi a raccontare, a parlare di quell’attimo breve, perché qualcun altro capisca, sappia, conosca lo sconforto degli occhi di Fa. Quella bocca tesa, nel non sapere cosa dire.
Ed è stato davvero facile vedere in Fa quel me diciassettenne, che chi mi conosce bene ricorda. Quel diciassettenne che non ha mosso un dito mentre un aereo planava altrove. E le parole non dette non sono e non devono essere un’eredità del tempo. Per nessuno. Fa deve dire qualcosa, o meglio: tutto. Non partire, non lasciarmi, mi sento perso, dammi il tempo, never is a promise and you can’t afford to lie.
Perché ti amo ma vado non si dice, perché mi dispiace non basta, perché avrei voluto fosse diverso ma non posso fare altrimenti è una bugia. Gli altrimenti si trovano se si pensa che la vita è solo questa e poi non più. Sono troppi gli incroci mancati nel destino di ognuno. Quindi se per una volta ci si ferma e si ha fortuna, non si può perdere, né sprecare.
E Fa questo, tutto questo, lo prova ancora prima di capirlo, ancora prima di esserne sicuro.
E Fa questo lo dirà, a quell’uomo che temo parta comunque.
E Fa oggi non sa ancora che ci sarà altro, per cui perdersi, e per cui sdrucire gli occhi. Senza dimenticare questo ottobre vigliacco, e una promessa diventata una bocca ingorda. Ormai.