Monday, April 30, 2007

I matti e la sibilla

Abbiamo corso tutto questo tempo. E adesso che è maggio?
Io non ho neppure finito di smantellare l’albero di natale, e mi ritrovo a guardare i costumi da bagno nelle vetrine! Quest’anno devo rinunciare allo slippino… meglio un “zavaglio” fino alle caviglie, che intanto magari dreni la panza.. altrimenti chiamata: curva del benessere.
Si vede che a sto giro sono stato benissimo, allora! Eppure mi sembrava che qualche temporale psicotico avesse raggiunto il mio tetto. Non so, la primavera mi distrae.
Dunque dicevo: è maggio, e io ho decisamente bisogno di prendere un filo di sole. Mi sono sempre sentito un po’ Clara, regina indiscussa della casa degli spiriti allendiana; ovvero verde muschio e nel contempo trasparente traslucida! Quest’inverno però sono entrato troppo nel mood. Sarei perfetto per fare il cadavere macilento per una puntata di C.S.I.
Ehhhhh, la fatica del duro lavoro, penserà qualcuno. Tutti gli altri rideranno di cuore.
Però il matto non va mai da solo, ma sempre in compagnia di altri matti. E io coi matti ogni tanto ci ceno, perfino. E la mia sister cornflake matte, è la più matta di tutte! Cucina cose matte anche!
Insomma, io già matto, con altre matte, in una cena matta… eravamo una allegra brigata! E mi si è chiesto perché non scrivessi una sceneggiatura. Perché non avessi mai pensato di dar voce a ciò che ci riguarda tutti. L’impossibilità di essere capiti nell’amore. L’incredibile sforzo spremuto per raggiungere un comune codice di espressione. Dire una cosa come: amore mio, quel che provo per te lo capisco benissimo e mò te lo spiego!
Sarà che è il mio grande cruccio… sarà che sudo sette camicie. Sarà che riderci su sarebbe pure un bel modo per ironizzare. Così mi sono messo al lavoro. All’inizio ero un pelo dubbioso sull’impresa! Poi, come spesso succede, superato l’imbarazzo della pagina bianca… eccomi lì, eccoci lì. E ci eravamo tutti sapete?
Oh no! Non sottraetevi! Non pensiate che la cosa non vi riguardi!
Sono andato in tangenziale, e ho rigato una scritta di qualche anno fa, poggiata su un cartello per uno svincolo! La scritta era: “ Dio c’è?”. Era una domanda! L’ho sostituita con un’altra domanda. Ancora più incerta, ancora più sibillina:
“ e l’amore cos’è?”
Sembra una canzone dei Ricchi e Poveri… come dicevo: la primavera mi distrae!

Saturday, April 14, 2007

07. you learn. mp3


Ho un’immagine di me, vecchia di dodici, tredici anni. L’aria del mediterraneo era il mio cielo. E le strade che camminavo, erano strette e umide di sera. Sempre in sella al mio motorino rosso, sbeffeggiavo le raccomandazioni materne, e non mettevo mai il casco. E in più, da vero incosciente, avevo sempre le cuffiette del mio walkman alle orecchie. Erano i tempi in cui i cd erano non dico un lusso, ma quasi. Registravo dalla radio le mie canzoni preferite. E ogni mese avevo la mia top-ten. Ma un anno, per un intero inverno, fu diverso. Pulii il garage di mio padre, ed ebbi come ricompensa i soldi per compare un disco. Niente più speaker a inquinare le pause fra una traccia e l’altra. Niente più scossoni o distorsioni. Una cassetta che durava circa cinquanta minuti. Era il 1995 e trovai la mia ossessione. Si chiamava “jagged little pill”. Era davvero musica per le mie orecchie. Perché la rabbia di quella ragazza, andava parallela a un’inquietudine che io provavo. Erano sentimenti probabilmente diversi, ma che venivano a galla nonostante tutte le remore e le resistenze.
Alanis Morissette divenne i mio cristo segreto. Da ascoltare. E ogni cosa mi circondasse, pareva essere già spiegata in quelle tredici canzoni. Da lì a poco mi sarei innamorato. Avrei finalmente scoperto angoli di me fino ad allora solo immaginati. Quel disco, quella musica fu come il mio training.
Negli anni successivi ho provato altre passioni simili. Ho consumato cd interi, che oggi suonano in maniera piuttosto discutibile. Ma nessun’altro disco ha provocato lo stesso impatto in me. Era l’esatto suono della mia libertà, della mia emancipazione.
Dopo dieci anni Alanis ha rieditato quel suo primo lavoro, in maniera morbida. Rendendo un suono acustico a quelle parabole. Io l’ho scoperto solo da poco, meravigliandomi anche di questo. Posso dire che quel che è seguito a jagged little pill, non era del tutto apprezzabile. Il classico caso in cui gli esordi hanno un significato, e quel che viene dopo è il faticoso affanno verso la conferma perenne. Difficile che fosse così facile. Io fui solo uno dei ventiquattro milioni di persone che comprarono quel primo disco. E capisco sia probabile scontentare qualcuno, nel cammino che prosegue.
Alanis, comunque, mi ha insegnato a intendere ogni cosa che ci accade, come un insegnamento. A non temere che la fiducia manchi, il giorno in cui ci sentiremo solo sfortunati. A quindici anni ho imparato come tutto accada per qualche ragione, e che da quella ragione si possa fare risorsa.
Così, per l’ennesima, mi rendo conto di quanto abbia ragione. Nell’aver superato un’altra boa, nell’aver misurato il mio amore, e fatto vibrare la nota che può raggiungere nella sua estensione.
E come imparo io, impara anche lui. Quel lui di cui tanto parlo. E che mi è così vicino.
Gli amici si raccontano, e io ascolto. La lezione è sempre la stessa. Fatta di cose piccole, su molte delle quali il nostro mondo si regge in piedi.
Stare insieme, dividersi, spiegare, è una lezione per tutti. La sola traccia, che commuove e tiene strette le mani attorno alla vita dell’altro, è la voglia di imparare, ignorando la fatica. Finché si può.

You live, you love, you cry, you lose, you bleed, you learn.

Wednesday, April 04, 2007

Back to me


Mi sentivo oppressa dalle coperte pesanti del mio letto. Lo stesso letto dai pomelli rotondi, dentro il quale ero cresciuta. Ma non abbastanza. Non ancora, almeno. La notte non copriva la paura. Il bruciore delle tempie. Pensavo all'inganno, a quanto mi sentissi imbrogliata dentro la sua bugia. Eppure. Eppure l'avevo sentito piangere. Cos'era esattamente? La forma perfetta del suo sesso nascosto dalle mani. Era la mia stessa forma, protetta, interna. Precisa come una malformazione non potrebbe essere. Un taglio esatto, e incomprensibile.
Marte, aliena e ruvida specie di sagittario. Una bestia celeste. Un mostro.
Quella notte il mio naso rimase chiuso, premuto sul cuscino. Fissavo il buio, cercando di prendere sonno. Mi sentivo legata a quell'umore, come mai prima di allora. Cos'era esattamente? La riva di un mare nero, dentro il mio primo sogno. Un mare dove i pesci mordevano le caviglie, fino a deturparti l'anima. Un mare di sconforto, di abbandono e solitudine. Era la mia speranza, la caduta libera verso l'inesplorato. Sulla superficie galleggiavano brandelli di corpi umani. carcasse di donna e di uomo, fusi insieme in alchimie impressionanti. Un pesce rabbioso mi raccontò all'orecchio che Marte era il re di quel mare scuro. Sedeva su un trono fatto di diverse combinazioni. E sdegnava le mie grida di aiuto.Il giorno mi svegliò, lasciandomi dentro l'inquietudine, come un odore. Nuovo.

" Amore... hai dormito male? Sembri sconvolta....
" Solo un brutto sogno, mamma...
Pesavo la realtà e il sogno. Sicura di cosa fosse peggio. La mia fuga mi aveva portato dentro la vita di sempre. Potevo dimenticare forse. Eppure il suo pianto, mi lasciò dentro l'eco. Un collare a strozzo che mortificava i miei slanci, verso i soliti amici, il solito lavoro, le solite attese.
" Che programmi hai oggi Lidia?" chiese mia madre, sbucciando un'arancia.
" Passo in studio... poi vedo!
Ogni parte di me, anche la più piccola, si convinceva che avrei sofferto. Spalmavo sul pane confettura di albicocca. Lucida, quasi brillante, rifletteva il mio viso distorto. Tornata nel mio mondo anch'io come aliena. Sembrava tutto diverso, scomposto. Troppo silenzioso.
Iniziò a nevicare. I passi corti dei bambini, i tetti umidi, le ore brevi del giorno, ognuno di noi si preparava alla posa dell'inverno. Io fremevo, come ali di cicala sulle mie palpebre.