Thursday, December 21, 2006

Letterina a Babbo Natale "BIS".

Hey Babbo
Ma come? Non l’hai ricevuta la mia letterina ad agosto? Certo che sì! Non ci credo che non sai chi sono. Dai, Babbo… ti ricordi quando ero cicciotello con l’apparecchio ai denti, con tutti quei capelli arruffati? Beh sono ancora io, sai? Capisco non sembri, ma fidati! Ora, ti avevo chiesto un fidanzato come regalo, con largo anticipo rispetto a tutti quei luridi mocciosetti egoisti di mezzo mondo ( perché i bimbi dell’altra metà di mondo o non sanno chi tu sia, o sono troppo impegnati a non morire). E tu che hai fatto? Me lo hai fatto arrivare… in un bel pacco argentato alto un metro e settanta, gonfio gonfio e stretto in vita da quel bellissimo nastro rosso… una caramellona insomma! Sai Babbo, volevo dirti che hai fatto un ottimo lavoro. Il fidanzato è davvero come lo volevo, proprio così. Sa cucinare, non mi rompe le scatole se ho un calzino bucato, mi coccola se ho freddo e mi sbaciucchia finchè una qualunque preoccupazione non mi passa! Poi ci hai messo del tuo credo! Perché immagino sia merito tuo se sa fare massaggi come una delle migliori sbarbe orientali; così come sulla questione della generosità e della premura che riserva per me, sempre. Oh Babbo… mi sa che il moroso gay è l’articolo che fabbrichi meglio… questo mettilo nello sponsor pieghevole illustrativo!
Però, cazzarola Babbo…. La mia lettera comprendeva un bel “piesse”. Te lo ricordi?
Diceva: e poi Babbo, fai per favore che quest’anno non mi tocchi pagare le spese condominiali. Cos’è questo bollettino qua sotto il mio naso, Babbo? Eh? Me lo spieghi?
Le letterine si leggono fino alla fine. Ho capito che hai fretta di finire, e l’affanno di sbrigarti… ma io ti scrivo ad agosto apposta!
Comunque ti perdono… sei stato un grande a sto giro! Hai sentito di questa ondata di gelo in arrivo! Fai a modo e copriti. Che non sei più un giovincello.
E Buon Natale.

Come Buon Natale a tutti i miei lettori…
Su, venite qua, e diamoci un bell’abbraccio!

Monday, December 18, 2006

Incipit

The nun's bride


Spalle al muro, nuda. Mi guarda come non riuscisse a respirare o temesse il peggio. La luce del bagno, pallida e anonima al neon, la segna impietosa nel poco peso che vanta, e nei solchi dei suoi propri abusi. Le chiedo che pensa di fare, mi risponde che starà lì finchè la guerra non sarà finita. Le chiedo se ha voglia di dormire e mi dice che non potrebbe mai.
Ha la bocca socchiusa, e gli occhi non sono più i suoi. Si è persa, seguendo un coniglio attraverso porte sempre più strette. Ha creduto alle promesse, e si è tagliata i capelli corti. Gennaio pulsa come una strobo alla finestra, e le luci di questa città ci scivolano affianco, appena per poter riuscire ancora una volta a dare un nome al mondo.
Io sono la donna che l'ha salvata, e lei è la donna che mi porterà all'inferno. Mi dirà che quella è casa sua, e io disferò le valigie.
Io sarò florida come una sposa. Lei si drogherà ancora, e decideremo volta per volta chi potrà essere. Se il mio uomo, o la mia bambina da curare. Da piccola, sognavo di avere le trecce e un cavallo nel giardino. Oggi scavo la nuda terra; sbuccio la pelle di chi incontro per sapere se esiste ancora un qualcosa capace di uccidermi.
E lei è davanti al cesso, sporca come un gatto bastardo del vicolo quaggiù. Non so di che si è fatta, ma si sta consumando. I suoi contorni sono già più incerti. Mi ha confessato che avrebbe voluto farsi suora qualche tempo fa. Ha avuto la peste, la povertà che l'ha soprafatta. Non ha avuto la clemenza dei cieli, né il perdono.
Vorrei che morisse adesso, qua, in questo bagno gelido. Mentre la guardo. Sarei io l'unica testimone del suo passaggio.

Magari

Perché esce dalla pancia. Come la voglia di stringere nel palmo una qualunque maniglia, e tenerla ferma, perché nessuno entri. La sera qualcuno raccoglie i passi che portano fino a casa mia, e io allora tengo le finestre aperte, imparassimo mai a volare. Cosa rimane? Cosa ascolti quando poggi l'orecchio al muro? Non ti senti mai come se qualcuno infilasse la mano nella sabbia asciutta e afferrasse qualcosa di tuo, che magari ti è dentro?
E chi dice che i pazzi che parlano fra loro non siano meglio dei talkshow in tv?
Perché questo paese lo abbandoneremo tutti prima o poi, e lasceremo le case vuote e i rubinetti aperti. Cupole sommerse nei loro stessi cilici di pregiudizio. E noi? Beh nuoteremo, my little prince… in qualche altrove che ci consoli; che forse saremo in grado di inventare oltre le nostre stesse aspettative. Dove andremo al cinema, e magari mi terrai la mano.
E tu allungherai i caffè, e io fumerò svelto le mie paglie fino al filtro. E attorno avremo altri squot che si allacciano le allstar bucate, e i nostri tappeti lisi saranno il mondo che avremo conquistato. E il sabato ci abbracceremo in un qualunque mercato delle pulci. Tu cercherai qualche vecchio film in cassetta, e io magari un vinile che non suonerò mai.
E le coperte saranno sempre troppo corte per tenere i piedi al caldo, ma sarà pur sempre un nuovo mondo, con le orme dei nostri percorsi ben tracciate. Nessuno ce le ruberà. E le porte non avranno maniglie, e tutto quello che avremo ci sembrerà anche troppo.

Monday, December 11, 2006

Shhh!

Il letto al buio della notte. E attorno era solo silenzio. Alessandro si raggomitolava sotto la coperta di piume, e Luca gli si era steso accanto. Solo le luci di natale rimbalzavano dall’angolo, per i muri bianchi, senza dare fastidio.
I corpi pesanti e nudi, con i fiati della passione ancora appesi alle labbra. Entrambi aspettavano il sonno, che li facesse scivolare nell’attesa sospesa del giorno che si sente arrivare.
Un bacio sfiorato, la loro buonanotte muta.
E spalle su cui poggiare il mento, chiusi a cucchiaio l’uno sull’altro.
La barba sul collo, morbido solletico al quale ci si abitua, e il braccio di Luca sul fianco di Alessandro. Perché in una notte così non si può avere freddo, e neppure paura. Perché il tempo e le dispute, le distanze e il desiderio, hanno congiunto a ciascuna domanda la propria risposta.

Una bocca che si poggia sull’orecchio dell’altro.
Alessandro fece finta di dormire, e non disse nulla dandogli le spalle. Nessuna parola, nessuno sguardo avrebbe restituito il giusto, l’esatta metà della parte intera. E le ciglia chiuse si bagnarono in un attimo. Che parve immobile come i loro corpi. L’uno sull’altro.

(Non avrei mai potuto non scriverla, e non scriverla così. Poche cose, credo, meritano l’urgenza di essere raccontate. E io ne ho appena vissuto una)

Shortbus

Sapete che non ricordo più neppure quando lo sono andato a vedere? Era la settimana scorsa e non sono riuscito a scrivere nulla per giorni. E il perché credo risieda nell’incapacità di distanziarmene in maniera lucida. Sì, sono uno di quelli che ne sono rimasti folgorati. Letteralmente.
Mi hanno chiesto di definirlo. Mi rendo conto io per primo che è una vera impresa. Dopo aver letto così tanto su questa pellicola, anche io avevo voglia di una mia opinione. E mi è servito del tempo.
Inizia con una riproduzione in plastico digitale di NYC, dentro il quale la camera ti fa vorticosamente scivolare. Una città che si risveglia lentamente dallo shock di aerei piovuto dal cielo; una città anche lontana dai serial glam modaioli, o dalle sparatorie a intrighi scopiettanti. Una città dove qualcuno dice che ci abiti anche gente normale. Poi il sesso, che non viene solo mimato in maniera ridicola. Finalmente nessun lenzuolo tirato ad arte sul seno delle donne, e cerotti inguinali per gli uomini. Qua il sesso si vede davvero. E perché non dovrebbe essere così? Non ho mai avuto la sensazione che fosse piazzato ad arte in maniera gratuita. Non era porno, non provoca nessun livello di eccitazione. È sesso, e lo conosciamo tutti.
Amo John Cameron Mitchell dai tempi di Hedwig, quel maledetto capolavoro. Allora mi ricordava la furia di una primissima adolescente Juliette Lewis, bellissima in una produzione da Tribeca fest. Una confezione perfetta per un oggetto altrettanto ben fatto. E con questo film mi convince sul suo incredibile talento, anche solo da regista e sceneggiatore, nel mettere in discussione molto della vita di chiunque guardi i suoi lavori.
Shortbus parla della paura; di quel coraggio che manca nell’essere individualmente perfetti. E tutti i personaggi spendono energie per adeguarsi a un modello. Così appare normale che una coppia gay monogama debba prima o poi aprire i propri argini, o normale che una ragazza che patisce una forte solitudine debba diventare una borderline per salvarsi. Così altrettanto normale che una donna creduta frigida, perda l’equilibrio per ottenere quello che hanno tutte le altre donne: un normalissimo orgasmo.
Fin qua non ci sarebbe molto di geniale. Ma ecco che nel corso della storia affiorano delle domande. Chi l’ha detto che comunque l’amore è solo a due? E se ci capitasse una contingenza che ci aprisse nuovi accessi? E ci piacesse più di quanto pensassimo mai? Se non avessi mo più orgasmi, dovremmo confinare noi stessi in un angolo del mondo? E se uno di noi davvero desiderasse una casa e un cane e un lavoro comunissimo? Anche quello sarebbe un contraddistinguersi.
Ho letto di come cast e regista abbiano fatto moltissimi workshop prima delle riprese. E di come abbiano scritto la sceneggiatura su quello che emergeva dalle improvvisazioni, dalla vera vita di chi abbia partecipato a questo film. Perché in mezzo a tutti gli scandali, a censure e preclusioni, si perde di vista un concetto semplice. Shortbus parla di una realtà che qualunque uomo o donna, superati i vent’anni, conosce o ha iniziato a conoscere. E sapete una cosa? È comico e intenso in egual misura.
Poi la musica…. Ah! Altro ingrediente graditissimo. Grazie a questo film ho conosciuto Jay Brannan. Il bel ragazzetto con la chitarra. Sono entrato nel suo blog di myspace e ho scoperto che sta per incidere il suo primo disco. Ha molto talento… e non parlo (solo) delle sue dimensioni esibite così, a sbertucciare il pubblico maschile. Poi stamattina mi sono “procurato” l’official soundtrack, e non trovo davvero nessuna scelta fuori luogo. Dai the Ark (redivivi), a Scott Mattews, frontman della band dello shortbus, e autore inoltre di quel bellissimo pezzo cantato da Justin Bond nel bel mezzo del Blackout: “The end”.
Oh insomma…
Totally impressed!

Wednesday, December 06, 2006

E lei fra noi

E io che speravo che saremmo diventati unici, diversi da tutti gli altri. Ci si conosce, ci si stupisce, ci si affeziona. Si dorme più spesso insieme, da uno o dall’altro, subito dopo il lavoro, si mangia qualcosa, ci si stuzzica sempre, ci si dimentica qualcosa in casa dell’altro e non ci si pensa, né ci si preoccupa. Qualcosa che si fonde in un’altra.
A dirla così ci vuol poco, però sembra bello. Come dovrebbe essere!
Però mai avrei pensato che nella mia vita serafica e paffuta con Luca, sarebbe arrivata lei.

Bella è bella, o quanto meno fatta bene.
Mio fratello ha perso la testa per lei anni fa ormai. Una notte di natale, mentre io, sbronzo come poche volte, rendevo quasi l’anima al cielo, il consangue la titillava accuratamente, tutto sudato, emettendo versi lussuriosi. Mi parve un’allucinazione da nocciole e datteri. Ma fu così che andò! Mi fece paura e le dissi che non mi avrebbe mai avuto. Altre volte, in circostanze successive, qualche altro uomo mi ha confessato di averla amata fino alla psicosi, di aver perso quasi tutto per il piacere di starle accanto. Confermai così l’idea che di lei non ci si dovrebbe fidare, che sarebbe meglio tenerla alla larga.
Ieri Polpetta l’ha portata con se. È passato a prenderla dopo il lavoro e l’ha scortata fino al mio appartamento. Quando l’ho vista ho tremato, e ho pensato davvero che fosse troppo tardi per tirarmi indietro. Dopo un breve momento di scoramento, Luca mi ha consolato, dicendomi che non c’era alcun motivo per preoccuparsi.
Dopo il caffè eravamo tutti e tre seduti sul tappeto a righe del mio soggiorno. Lei zitta e immobile mi faceva venire i brividi.
- Allora, che si fa? Ti va di provare a maneggiarla un po’?
- Ehm, Luca…. Io non so… ehm io… beh…
- Dai, coraggio, non vedi che anche lei sembra impaziente?

E così è riuscita a irretirmi, a farmi emozionare anche. Non avrei mai immaginato mi rubasse il sonno fino alle sei di questa mattina. In fondo è solo una playstation. Sapevo di essere una mezza sega… qualunque mostro mi fa fuori. Luca è svelto e anche piuttosto assassino… e mentre lui si impegna nella sua missione di morte, io sto a guardare gli interni e la scenografia degli scenari. A bocca aperta.
C’è da dire anche che verso le due, in un momento di pausa, abbarbicato su polpetta, mi è venuto naturale esternare questo mio dubbio:
- Ma diventerà anche per noi la tomba del sesso?- l’ho guardato vitreo e sospiroso.
- Certo che sì!
Ci ho quasi creduto… se non fosse che in una sola mossa mi ha ribaltato sul tappeto a righe e… vabbeh!

Friday, December 01, 2006

Up on the tram

Deriva.
Ed è come perdersi davvero. Il mio amico Richy ha scritto un libro sulla gente, e sull’oblio di cui si può essere capaci. E pensavo di essere preparato, ormai da anni. Perché ieri è partito il mio tram n°7, e io non avevo neppure finito di fare le valigie.
Qualche mese fa ho scritto un racconto. Non prevedevo nessuna pubblicazione. Direi piuttosto che era un due cartelle due, da leggere a una cena di scrittori. Eggià… in quel di Bo facciamo anche questo.

E se mi capita adesso di buttarci l’occhio, sorrido!
Lo posto qua sotto. Buon weekend a tutti i miei lettori. Sempre quelli… quelli giusti.



Sin dall’asilo ci insegnano che dopo l’estate arriva una “cosa” che si chiama Autunno. Mi ricordo ancora i cartelloni illustrativi tutti colorati, appesi appena sopra la porta della classe. Pensandoci bene, è quindi dalla più tenera età che tutti noi sappiamo questo, ed è da altrettanto tempo che facciamo finta di dimenticarcene, ogni anno.
Forse perché sappiamo che la pacchia è finita, che arriveranno maglioni e canottiere cotone dentro e lana fuori. Che avremo pruriti, raffreddori e, male male andando, ci si tapperanno anche le orecchie per il freddo.
Nessuno si lascia, quando arriva l’autunno. Perché due corpi caldi dentro un letto, a notte fonda, e riscaldamento spento, sono meglio che uno.
Chi, tornato dalla spiaggia, si rende conto di essere single, si preoccupa… e fa bene, direi.
Così, aperta la stagione della caccia, appena prima delle castagne, dei funghi, e delle lumache a bordo strada, non si deve fare altro che decidere se si preferisce essere cacciatori o prede.


L’appuntamento.mp3

-Hallospank- Pensai, questo è scemo. Scorrevo con gli occhi tutto l’elenco degli utenti on line in quell’esatto momento. E fra “tirosututto” e “culocaldoperte”, c’era lui. Aveva scelto il nome di un cartone animato. Ma fra tutti i cartoni, di sicuro il più enigmatico. Spank in inglese significa sculaccione… e già questo avrebbe dovuto farmi desistere. La cosa che mi ha incuriosito sin dall’inizio è stata una sua foto, di lui seduto sul gabinetto, con la faccia da fumetto, che si sforza nell’intento di risolvere l’ostruzione. E in mezzo a tutti i piselli e ai sederi a panettone, glabri o meno, mi sembrava la cosa più normale che potessi aspettarmi. Pensandoci bene, lo era davvero!
Iniziammo a chiacchierare del più e del meno, e concludemmo di portarci fuori l’un l’altro il mercoledì successivo.
- Ma guarda che sono basso e tracagnotto.. dalle foto non si vede!- mi avvisò lui, tanto per mettersi avanti.
Io pensai che invece dalle foto si vedeva benissimo, ma evitai di dirglielo. Mi sembrava scortese.
Mi dimenticai quasi di lui nei giorni di mezzo, che per me sono in genere la più lenta delle agonie. Uscire con un uomo comporta un dispendio di energie non indifferente. Ma cribbio, arrivava l’autunno. Un po’ una mia personalissima visione della morale che risolve le dispute fra formiche e cicale.
Mercoledì, tanto me n’ero dimenticato, che avevo intenzione di andare a casa di amici per cena. E l’avrei fatto, non mi avesse scritto un messaggio come: “Allora? Sei vivo? Usciamo insieme sì o no!”
In un mezzo nanosecondo cercai di formulare una scusa plausibile. Affacciato alla finestra di casa mia pensavo: scusa ho la febbre, scusa mia mamma è venuta a trovarmi, scusa ma ho una riunione al gruppo testimoni di geova (e questa in genere funziona sempre). Mentre congetturavo, un albero si spogliava di fronte ai miei occhi, nel parco sotto casa. Si sbracciava infreddolito, e ogni cosa di lui si intirizziva, mentre una pioggia di foglie lo temperava fino alle radici.
Non esitai oltre. Lo chiamai e via. Ci saremmo visti alle dieci.

Lui arrivò in ritardo. Io me l’aspettavo. Arrivai più in ritardo del suo ritardo. In genere questo è un ammutinamento corsaro a ogni buona intenzione. Noi non ci facemmo semplicemente caso.
- Stasera fa davvero caldo
- Già- e lo dissi un po’ abbacchiato. Parlare del tempo come prima spinta al dialogo rende un primo appuntamento stimolante come stare seduti in sala d’aspetto dal medico di base.
- Infatti ho lasciato la giacca in macchina, per evitare di arrivare qua da te con l’ascia pezzata.
Disse questo, e mi sembrò divertente. Così rallentai la camminata, evitando di vederlo scapicollarsi in quei due passi larghi, che recuperassero il mio solo passo normale.
Mi offrì una birra in un bicchiere di cartone, da bere seduti fuori. Ma scelse un angolo in disparte rispetto alla bolgia umana che si riversava fuori dall’ultimo bar del Pratello.
Tenemmo una certa distanza fisica. Mi apparve come un buffo ometto timido, ma bastava che si sentisse abbastanza spregiudicato da guardarmi negli occhi due secondi di seguito, per farmi contento. Per incuriosirmi.
Mi accorsi che quasi involontariamente, pian piano, strisciavo il mio posteriore sul gradino del portico, fino quasi a saltargli in braccio. Versione adulta del celebre gioco da cortile: “un due tre stella”.
Mi fece vedere le mani, le unghie mangiucchiate, tanto che mi aspettavo di vedergli sbaffi di pennarello rosso sul dorso. Ma la sua risata era come deve essere una bella risata. Bianchissima e rumorosa.
Passavano i minuti e le resistenze si asciugavano, come la schiuma della birra sui nostri baffi.
- Mi diverto con te- mi disse d’improvviso- Mi diverto a tal punto che potrei anche raccontarti di quando due anni fa mi sono fatto la cacca addosso nel giardino dei miei.
Ci fu un lungo momento di silenzio. I miei occhi si sgranarono quasi nell’istante in cui smise di parlare. Di fronte a me lui seduto, ma nella mia immaginazione, quasi in simultanea, c’era sempre lui ma con i pantaloni macchiati e una bolla al naso dalla vergogna.
Le mie labbra si tirarono quasi a toccarmi i lobi delle orecchie. E risi. Risi senza sapere quando avrei potuto fermarmi.
- Stai scherzando, vero?- speravo mi dicesse di no!
- No non scherzo, davvero… era dopo pranzo e pensavo fosse una scoreggia.
Qualunque cosa succeda, sono sicuro che questa non la dimenticherò finché campo.
Mi resi conto che non ero uscito con uno che ha il nome di un cartone animato, ma che un cartone animato lo è davvero, e inequivocabilmente.
Parlammo di musica, e mi confessò tutti i suoi più atroci misfatti in fatto di gusti. Tanto valeva vuotare il sacco, e dichiarare i miei. Ci fu indulgenza vicendevole. E consolazione immediata.
Essere sé stessi non era mai stato così facile, né così semplice.
Lo accompagnai alla macchina, sul fare della notte fonda. Mi tese la mano per salutarmi. Lo tirai verso di me quasi contrariato, e gli diedi un bacio sulla guancia.
A questo punto si dice sempre, qualunque sia il bilancio della serata:
- Ci sentiamo presto. Possiamo rifarlo.
Nel mio caso fui sincero. Lui lo capì, e basta.

Da quel mercoledì è passato quasi un mese. Lui continua a parlare della sua cacca ogni volta che può, e io tiro su gli occhi, facendo finta di essere compassionevole come Maria addolorata sotto la croce.
L’altra sera, mentre stavo sdraiato sul suo divano, e lui stava sdraiato sopra di me, comprimendomi il respiro, gli ho detto, o meglio… sibilato che avrei scritto questo racconto.
Lui ha detto:
- ah bello…
Ogni molecola di lui fremeva già dalla curiosità. Io penso solo a quando si meriterà di leggerlo.