Sunday, November 05, 2006

Una lettera per caso

Quando la mia vita non basta, mi immergo in quella altrui; perfino nelle pieghe dell'amore che sogno, e che un po' mi vive dentro. Una lettera per caso, spinta dalla curiosità per renderla vera, dall'immaginazione ... croce e delizia di questa mia testa.


Amore,
non ho ancora ritrovato il fiato per parlarti. L’ho perso con te, trascinato sotto la terra nuda, che ti tiene stretto. Screpolerei le mani, sbuccerei la pelle del mondo per riaverti qua. È mattina, e neppure nella tenerezza del giorno che nasce appena, io riesco a non pensare a te. Questa, di mattina, è perfino più ingrata. Ti amo dal principio della mia vita stessa, quasi; e non riesco a immaginarla diversa da così: legata a doppio nodo alla tua, che si è spenta tre mesi fa ormai. Mi vergogno a confessare agli amici che ogni cosa è rimasta immobile, come sopita insieme a te. I tuoi fogli sullo scaffale dell’ingresso, gli asciugamani in bagno, i promemoria sul frigo. Sono ghiaccio sul quale non fiorisce nulla, se non la polvere. Polvere come colla per i ricordi, stesi lì a farmi compagnia. Perché ogni piatto che rimane pulito, ogni suola di scarpa che il tuo passo ormai manca, ogni movimento risparmiato dalla tua assenza, taglia i miei occhi di sale soffiato, come ferite.
Mi hai detto ti amo, mollando la presa del mio sguardo, mentre perdevi il futuro su un letto d’ospedale. Questo a me basta. Ho reclinato la testa, in quel primo minuto di abbandono, sicuro che la mia memoria ritornerà lì ogni giorno, qualunque cosa capiti negli anni che attendo.
La tua prima occhiata, all’università. Non avevi le ultime monete per il tuo caffè al bar. Io aspettavo, spazientito. Mi divertì però, vederti in difficoltà. Ti prestai altre cento lire. Non le ho mai riavute indietro. Anni fa, in una memoria che perde i contorni, come fosse una bambina dall’occhio pigro, la mia vita ha incontrato la tua. Non avresti mai pensato che da allora la vita sarebbe stata solo una. Parlo degli ultimi vent’anni, e del tesoro che conserviamo. La fatica di quest’ultimo brandello di noi, verde corsia, intubati entrambi. Tu alla gola, dal di fuori, io al cuore nel vederti così.
Le fughe al mare d’inverno, da ragazzi. La centododici di tua madre, e la paura di tornare a casa tardi. Il gelato sbrodolato fin sul collo. E fare l’amore come due ladri, come meschini relegati all’ultima ombra del mondo. La pena per le parole taciute, e le mani ferme nei cinema troppo affollati. Ma sai che rifarei ogni cosa, dal principio, se potessimo scavalcare le malattie della sorte. Solo questo vorrei fosse diverso. I nostri primi anni; a loro sono affezionato. Inizio a essere vecchio, e commemoro le primavere del cuore. Ti sembrerei patetico, riuscissi a leggere queste mie righe.
Ma sono proprio quelli i momenti che rivivrei, per primi. Ti sembra curioso? Non gli agi, le comodità dei due professionisti che siamo diventati, no! Ma le bugie raccontate al mondo, e i giorni a sperimentare tentativi per nuove invisibilità.
Ricordo il primo bacio. La nostra prima buonanotte a fior di labbra, soffiata breve. Io a te e tu a me. Quel coraggio non tornerà più. La febbrile incoscienza di quel offrirci in pasto.
Ogni cosa è stata nostra davvero. Abbiamo posseduto tutto, perché attenti al pericolo di perderlo.
Non pensavo ti ammalassi. Imprevisto che ci ha raggiunto cogliendoci impreparati. E, accettato il mostro che ti era dentro, abbiamo lottato contro di lui, come due belve. Finché tu non mi hai detto: basta, non serve ormai. Eri pronto più di me, e prima di me. E la pelle era la tua. Quella stessa pelle che sembra lasci ancora orme sul letto, e che invisibile lo è diventata davvero.
Dimmi tu che ne devo fare di tutti i tuoi vestiti, dei tuoi dischi che ho sempre detestato, di quella insopportabile radio del bagno che gracchia. Potessi rispondermi, diresti di buttare via tutto, come mi hai già detto poco tempo prima di perdere la voce, attendendo la fine. Ma ho scoperto che non posso. Ti racconto una cosa: ieri sera ho preso dal negozio sotto casa delle scatole di cartone. Sono servite a trasportare dei pelati fin qua. Adesso che dovrei farci? Riempirle per un secondo viaggio, non più di polpa di pomodoro ma di te; del tuo passaggio oltre queste mura, fin dentro la mia vita. Il nostro passato in un cartone per alimenti? Non posso, non chiedermelo.
La cosa giusta sarebbe che ci fossi tu, qui, a far rivivere i tuoi oggetti, a riaprire i tuoi libri, a cercare le custodie dei tuoi dischi. Ricordo te ne mancava sempre una all’appello. Così costringevi me ad aiutarti a cercarla.
Amore, secondo te è normale che adesso abbia paura? Perché è così che mi sento. Perso.
Eri come una verità su di me, sugli altri, sul mondo. Una ragione per incuriosirmi. E una volta che le mie ciglia si saranno asciugate, avrò difficoltà a trovare nuove domande. Ho così tanti ricordi da salvare, da mettere a riparo. Schiverò la demenza, nelle lontane terre del disincanto della vecchiaia. Non dimenticherò niente. Avrò te come punto. Rinascere senza un arto è una fatica che mi sembra inutile sopportare. La volontà è sopravvivere al tuo silenzio. Eppure amore mio, da quando sono bambino, conosco una storia che ti ho raccontato spesso. Sembra che gli angeli sentano il rumore di un desiderio espresso sottovoce. Se un angelo che passa di qua, decidesse di dire “amen”, il desiderio si avvererà.
Tu forse potresti raggiungermi, in silenzio, senza fare rumore, e provare a regalarmi tutti gli amen di cui sento di avere bisogno.
Forse lo farai davvero. Io potrei confondere l’animo che ho, e mostrarti una serenità che ti ho promesso. Non mi hai creduto allora, ma tenterei di ingannarti, per un attimo.
Sentirti aprire la porta, gettare la borsa sul pavimento e raggiungermi nello studio. Sentirmi dire che ho voglia di una vacanza. Penso alle cose stupide di cui abbiamo discusso, agli ingorghi della passione che avremmo voluto ci divorasse sempre. Invece abbiamo imparato l’amore, e le promesse che gli innamorati infrangono. Il nostro amore è stato un segreto fra noi; taciuto da ogni voce ma posato sui palmi delle nostre mani.
Il nostro amore era l’unica cosa. L’unica cosa.
Ho pensato per anni che fosse inutile dire che sarebbe stato per sempre. Ora, invece, è come se fosse la sola verità a cui sono capace di affidarmi.
Quindi stringo gli occhi, e tiro fuori quel poco di voce che riesco.
La mia cura su ogni cosa, e la tua cura su di me.
Dì solo amen, amore, presto.

Per sempre.
Carlo

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