Monday, November 20, 2006

Oggi sposi

Anche io ho avuto un primo amore. Uno di quelli pazzeschi, che levano il fiato; che ti fanno quasi illudere che sarà sempre così. Ero un piccolo uomo, con un tale prurito alle mani. Lui sarebbe stato colui al quale avrei destinato pensieri laconici e densi per una decina d’anni. E dal nostro primo incontro lo avrei dovuto sospettare. Quel primo amore non si sarebbe asciugato facilmente. Così, in rincorse repentine, a dispetto dei miei successivi tentativi d’amore, a dispetto della distanza, ci siamo voluti bene sempre. E sempre, in qualche angolo del mondo, abbiamo trovato lenzuola da sgualcire per bene, commemorando.
Fino alla scorsa primavera, quando, mi ha comunicato che si sarebbe sposato col suo fidanzato. Lui, oramai, cittadino inglese, lo ha potuto fare. E io che mi illudevo che noi gay saremmo stati immuni, almeno, a questo strazio: una partecipazione di nozze che scivola sotto la porta, e che ti ammutolisce per giorni. Leggi i nomi sopra e squoti la testa. Ti senti l’escluso per eccellenza.
Al matrimonio poi non ci sono andato, sebbene meditassi di varcare l’improbabile navata vestito come Madonna in like a virgin o almeno come l’ultima Bertè (della serie: guardatemi, non sono affatto sana di mente), e gridare a squarciagola “sposa me sposa me sposa meeee”.

Saltiamo nel vuoto e arriviamo ai giorni nostri. Pronti? Ecco.
Il mio amico Umberto, spagnolo, qua in erasmus, mi racconta che il suo fidanzato madrileno gli ha chiesto di sposarlo. Io, ghiacciato in tutte le mie estremità, ho iniziato seriamente a pensare a questa cosa, tanto che sui matrimoni oggi scrivo, perché ho qualcosa da dire!
Tralasciando l’immagine di me che mi ritrovo un uomo in ginocchio, che mi chiede un Persempre, perché la cosa mi commuove al solo pensiero, ho una domanda!
È davvero possibile che la probabilità di un legame certificato, indiscutibilmente ufficiale, condizioni i desideri, le prospettive di un’intera generazione che cresce? In fondo noi, omosessuali da qualche lustro oramai, siamo stati abituati al sapere che, nel caso la cosa fosse andata proprio grassa, avremmo forse messo su casa (già fatto, già dato, grazie), ci saremmo forse presi insieme un cagnolino e quella sarebbe stata la “famiglia”. Per noi un eventuale legittimazione, sarebbe indispensabile per mille ragioni che prescindono dai sentimenti. Ma per i giovani gay, sapere che le loro possibilità comprendono una cosa così normale come il matrimonio, in che modo modifica le loro speranze sul futuro? È possibile che si sentano meno “diversi” di quanto ci siamo sentiti noi?
Perché noi tutti figli della televisione e dell’univoca rappresentazione di come si dovrebbe vivere per essere felici?
Ecco, poi penso seriamente a come mi piacerebbe promettere il mio per sempre finchè dura. E lo farei solo se credessi che quel “finchè dura” sia un modo per scongiurare le iettature. Vorrei i miei amici accanto, che giurassero di ricordarmi la gioia di quel giorno, anche quando le cose smetteranno di andare in maniera celeste. Vorrei che Lui si dedicasse le stesse attenzioni. E per me Dio non c’entra nulla. Scriverei di pugno quel che potrei promettergli. Non sarebbero frasi fatte, ma quel che sono sicuro di poter mantenere sulla linea di quel per sempre. Comprendendo anche l’inevitabile possibilità che in qualche giorno io lo detesti, non abbia neppure voglia di parlargli. Perché forse sposarsi non significa promettere all’altro una vita felice, ma una vita e basta!

5 comments:

Anonymous said...

Al di la' della critica dovuta all'impossibilità etimologica del significante 'Matrimonio' per l'unione di coppie gay di genere maschile (quanto mi piace parlar difficile ogni tanto! Oggi parlo da antropologo...),
sono d'accordo che la costruzione sociale della certificazione di un legame possa influire sulla volontà di averlo, ma dubito fortemente che essere legalmente uniti ovvi alla promiscuità intrinseca a certe individualità. Questo nel blog non c'è scritto, ma...

Alec said...

ah Filì, e parla come magni......

Casa_Libera said...

Mi ero perso questo post, perdendo così la possibilità di far uscire la vecchia zia che c'è in me... Io sono "fidanzato" (termine etero) con il mio lui da quasi 14 anni. Viviamo insieme da quasi 13 e mezzo. Abbiamo comprato una casa insieme (a nome di entrambi), abbiamo riempito quella che abitiamo di tante cose. Insomma, ci siamo giurati amore eterno (finché dura) senza aver bisogno di bollini e carte bollate. Le nostre famiglie ci considerano per quello che siamo, una coppia di adulti che ha deciso di fare un percorso di vita insieme con molte promesse e molti impegni reciproci. Anche i nostri amici, anche dove lavoriamo. Insomma, siamo "sposati" a tutti gli effetti. E invece no!
Avendo già tutto quello che il matrimonio potrebbe darci di che mi lamento? Di essere privato, per legge, di un diritto che ha mio fratello, mia cugina, mio nipote. Quando, in atti pubblici, devo inserire il mio lui devo giustificarmi, partire dall'inizio, argomentare. Spesso me lo scrivono come "collega" o se va bene come "affine". Insomma non come mio sposo. Io, se ci fossero i matrimoni gay, sarei uno che si sposa: la festa, i regali, gli amici.... ma siamo scemi, rinunciare a tutto ciò? :-) In realtà mi sposerei solo per questo, e per usare un mio diritto, già divenuto realtà nei fatti. Però quindi squalificante per la mia dignità non poter accedere a questo diritto.
Per le adozioni ne parliamo in altro post ...

Umberto66 said...

Voglio ringraziare Alec per le riflessioni e i pensieri che scrive, e complimenti per il tuo modo di scrivere. "Grazie!" Mi costringono a riflettere su come vivo la mia vita, cosa che purtroppo faccio raramente sempre preso dalla fretta, dal lavoro e da mille altre cose. Io ho un compagno da sedici anni e conviviamo, all'incirca, da quattro anni. Se mi fermo a pensare all'evoluzione, o all'involuzione!, del nostro rapporto mi accorgo anche come sia cambiato il mio modo di essere e di vivere la coppia. All'inizio avrei veramente voluto sposarlo o comunque fare qualcosa per dire a tutti che stavamo insieme. Poi ci si conosce di più, si condividono tante cose, si superano i problemi ed infine, anche se ci abbiamo messo molto, si vive insieme. Bene, tutto questo per dire che alla fine, passati diversi anni uno si rende conto che vive come se fosse sposato, con gli stessi slanci e la stessa stanchezza, la stessa quotidianità e le stesse responsabilità, ma dei problemi maggiori, in più. Uno non ci pensa spesso, o almeno io non ci penso quasi mai, ma quando ti ritrovi all'ospedale per visitare tua "suocera" e sei da solo, e ti senti chiedere se sei un parente non sai bene cosa rispondere; oppure sai che se dovesse succedere qualcosa al tuo compagno, tu non potresti nemmeno avere il diritto di vederlo, di essere lì, di entrare nella casa dove state vivendo, o alla peggio dove avete vissuto insieme ... e si potrebbe continuare. Essere arrivati a questo è stata una conquista, ho dovuto fare un percorso, ma non intendo quello della propria accettazione, non ho avuto grossi problemi di questo tipo grazie al mio compagno; all'inizio ho dovuto imparare a nascondere chi ero, chi sono veramente alle persone più care, ai familiari e agli amici, almeno fino a quando non mi sono sentito pronto e gli altri, anche se non tutti, non sono stati pronti ad affrontare la cosa. Ma erano altri tempi. Credo che in circa ventanni le cose siano abbastanza cambiate. Mi sembra che i giovani gay di oggi vivano in modo più tranquillo ed aperto la propria sessualità, lo spero. Credo che tu abbia ragione nel ritenere che il pensiero di un eventuale matrimonio o comunque di un'unione legale possa aver dato respiro alle nuove generazioni, affrancandole quasi dai limiti che invece abbiamo trovato noi, o almeno io, vecchio quarantenne. E spero che, nonostante le forze che ci remano contro, anche in Italia si possa ottenere di più, anche se la vedo molto dura.

Umberto66 said...

Voglio ringraziare Alec per le riflessioni e i pensieri che scrive, e complimenti per il tuo modo di scrivere. "Grazie!" Mi costringono a riflettere su come vivo la mia vita, cosa che purtroppo faccio raramente sempre preso dalla fretta, dal lavoro e da mille altre cose. Io ho un compagno da sedici anni e conviviamo, all'incirca, da quattro anni. Se mi fermo a pensare all'evoluzione, o all'involuzione!, del nostro rapporto mi accorgo anche come sia cambiato il mio modo di essere e di vivere la coppia. All'inizio avrei veramente voluto sposarlo o comunque fare qualcosa per dire a tutti che stavamo insieme. Poi ci si conosce di più, si condividono tante cose, si superano i problemi ed infine, anche se ci abbiamo messo molto, si vive insieme. Bene, tutto questo per dire che alla fine, passati diversi anni uno si rende conto che vive come se fosse sposato, con gli stessi slanci e la stessa stanchezza, la stessa quotidianità e le stesse responsabilità, ma dei problemi maggiori, in più. Uno non ci pensa spesso, o almeno io non ci penso quasi mai, ma quando ti ritrovi all'ospedale per visitare tua "suocera" e sei da solo, e ti senti chiedere se sei un parente non sai bene cosa rispondere; oppure sai che se dovesse succedere qualcosa al tuo compagno, tu non potresti nemmeno avere il diritto di vederlo, di essere lì, di entrare nella casa dove state vivendo, o alla peggio dove avete vissuto insieme ... e si potrebbe continuare. Essere arrivati a questo è stata una conquista, ho dovuto fare un percorso, ma non intendo quello della propria accettazione, non ho avuto grossi problemi di questo tipo grazie al mio compagno; all'inizio ho dovuto imparare a nascondere chi ero, chi sono veramente alle persone più care, ai familiari e agli amici, almeno fino a quando non mi sono sentito pronto e gli altri, anche se non tutti, non sono stati pronti ad affrontare la cosa. Ma erano altri tempi. Credo che in circa ventanni le cose siano abbastanza cambiate. Mi sembra che i giovani gay di oggi vivano in modo più tranquillo ed aperto la propria sessualità, lo spero. Credo che tu abbia ragione nel ritenere che il pensiero di un eventuale matrimonio o comunque di un'unione legale possa aver dato respiro alle nuove generazioni, affrancandole quasi dai limiti che invece abbiamo trovato noi, o almeno io, vecchio quarantenne. E spero che, nonostante le forze che ci remano contro, anche in Italia si possa ottenere di più, anche se la vedo molto dura.