Friday, December 01, 2006

Up on the tram

Deriva.
Ed è come perdersi davvero. Il mio amico Richy ha scritto un libro sulla gente, e sull’oblio di cui si può essere capaci. E pensavo di essere preparato, ormai da anni. Perché ieri è partito il mio tram n°7, e io non avevo neppure finito di fare le valigie.
Qualche mese fa ho scritto un racconto. Non prevedevo nessuna pubblicazione. Direi piuttosto che era un due cartelle due, da leggere a una cena di scrittori. Eggià… in quel di Bo facciamo anche questo.

E se mi capita adesso di buttarci l’occhio, sorrido!
Lo posto qua sotto. Buon weekend a tutti i miei lettori. Sempre quelli… quelli giusti.



Sin dall’asilo ci insegnano che dopo l’estate arriva una “cosa” che si chiama Autunno. Mi ricordo ancora i cartelloni illustrativi tutti colorati, appesi appena sopra la porta della classe. Pensandoci bene, è quindi dalla più tenera età che tutti noi sappiamo questo, ed è da altrettanto tempo che facciamo finta di dimenticarcene, ogni anno.
Forse perché sappiamo che la pacchia è finita, che arriveranno maglioni e canottiere cotone dentro e lana fuori. Che avremo pruriti, raffreddori e, male male andando, ci si tapperanno anche le orecchie per il freddo.
Nessuno si lascia, quando arriva l’autunno. Perché due corpi caldi dentro un letto, a notte fonda, e riscaldamento spento, sono meglio che uno.
Chi, tornato dalla spiaggia, si rende conto di essere single, si preoccupa… e fa bene, direi.
Così, aperta la stagione della caccia, appena prima delle castagne, dei funghi, e delle lumache a bordo strada, non si deve fare altro che decidere se si preferisce essere cacciatori o prede.


L’appuntamento.mp3

-Hallospank- Pensai, questo è scemo. Scorrevo con gli occhi tutto l’elenco degli utenti on line in quell’esatto momento. E fra “tirosututto” e “culocaldoperte”, c’era lui. Aveva scelto il nome di un cartone animato. Ma fra tutti i cartoni, di sicuro il più enigmatico. Spank in inglese significa sculaccione… e già questo avrebbe dovuto farmi desistere. La cosa che mi ha incuriosito sin dall’inizio è stata una sua foto, di lui seduto sul gabinetto, con la faccia da fumetto, che si sforza nell’intento di risolvere l’ostruzione. E in mezzo a tutti i piselli e ai sederi a panettone, glabri o meno, mi sembrava la cosa più normale che potessi aspettarmi. Pensandoci bene, lo era davvero!
Iniziammo a chiacchierare del più e del meno, e concludemmo di portarci fuori l’un l’altro il mercoledì successivo.
- Ma guarda che sono basso e tracagnotto.. dalle foto non si vede!- mi avvisò lui, tanto per mettersi avanti.
Io pensai che invece dalle foto si vedeva benissimo, ma evitai di dirglielo. Mi sembrava scortese.
Mi dimenticai quasi di lui nei giorni di mezzo, che per me sono in genere la più lenta delle agonie. Uscire con un uomo comporta un dispendio di energie non indifferente. Ma cribbio, arrivava l’autunno. Un po’ una mia personalissima visione della morale che risolve le dispute fra formiche e cicale.
Mercoledì, tanto me n’ero dimenticato, che avevo intenzione di andare a casa di amici per cena. E l’avrei fatto, non mi avesse scritto un messaggio come: “Allora? Sei vivo? Usciamo insieme sì o no!”
In un mezzo nanosecondo cercai di formulare una scusa plausibile. Affacciato alla finestra di casa mia pensavo: scusa ho la febbre, scusa mia mamma è venuta a trovarmi, scusa ma ho una riunione al gruppo testimoni di geova (e questa in genere funziona sempre). Mentre congetturavo, un albero si spogliava di fronte ai miei occhi, nel parco sotto casa. Si sbracciava infreddolito, e ogni cosa di lui si intirizziva, mentre una pioggia di foglie lo temperava fino alle radici.
Non esitai oltre. Lo chiamai e via. Ci saremmo visti alle dieci.

Lui arrivò in ritardo. Io me l’aspettavo. Arrivai più in ritardo del suo ritardo. In genere questo è un ammutinamento corsaro a ogni buona intenzione. Noi non ci facemmo semplicemente caso.
- Stasera fa davvero caldo
- Già- e lo dissi un po’ abbacchiato. Parlare del tempo come prima spinta al dialogo rende un primo appuntamento stimolante come stare seduti in sala d’aspetto dal medico di base.
- Infatti ho lasciato la giacca in macchina, per evitare di arrivare qua da te con l’ascia pezzata.
Disse questo, e mi sembrò divertente. Così rallentai la camminata, evitando di vederlo scapicollarsi in quei due passi larghi, che recuperassero il mio solo passo normale.
Mi offrì una birra in un bicchiere di cartone, da bere seduti fuori. Ma scelse un angolo in disparte rispetto alla bolgia umana che si riversava fuori dall’ultimo bar del Pratello.
Tenemmo una certa distanza fisica. Mi apparve come un buffo ometto timido, ma bastava che si sentisse abbastanza spregiudicato da guardarmi negli occhi due secondi di seguito, per farmi contento. Per incuriosirmi.
Mi accorsi che quasi involontariamente, pian piano, strisciavo il mio posteriore sul gradino del portico, fino quasi a saltargli in braccio. Versione adulta del celebre gioco da cortile: “un due tre stella”.
Mi fece vedere le mani, le unghie mangiucchiate, tanto che mi aspettavo di vedergli sbaffi di pennarello rosso sul dorso. Ma la sua risata era come deve essere una bella risata. Bianchissima e rumorosa.
Passavano i minuti e le resistenze si asciugavano, come la schiuma della birra sui nostri baffi.
- Mi diverto con te- mi disse d’improvviso- Mi diverto a tal punto che potrei anche raccontarti di quando due anni fa mi sono fatto la cacca addosso nel giardino dei miei.
Ci fu un lungo momento di silenzio. I miei occhi si sgranarono quasi nell’istante in cui smise di parlare. Di fronte a me lui seduto, ma nella mia immaginazione, quasi in simultanea, c’era sempre lui ma con i pantaloni macchiati e una bolla al naso dalla vergogna.
Le mie labbra si tirarono quasi a toccarmi i lobi delle orecchie. E risi. Risi senza sapere quando avrei potuto fermarmi.
- Stai scherzando, vero?- speravo mi dicesse di no!
- No non scherzo, davvero… era dopo pranzo e pensavo fosse una scoreggia.
Qualunque cosa succeda, sono sicuro che questa non la dimenticherò finché campo.
Mi resi conto che non ero uscito con uno che ha il nome di un cartone animato, ma che un cartone animato lo è davvero, e inequivocabilmente.
Parlammo di musica, e mi confessò tutti i suoi più atroci misfatti in fatto di gusti. Tanto valeva vuotare il sacco, e dichiarare i miei. Ci fu indulgenza vicendevole. E consolazione immediata.
Essere sé stessi non era mai stato così facile, né così semplice.
Lo accompagnai alla macchina, sul fare della notte fonda. Mi tese la mano per salutarmi. Lo tirai verso di me quasi contrariato, e gli diedi un bacio sulla guancia.
A questo punto si dice sempre, qualunque sia il bilancio della serata:
- Ci sentiamo presto. Possiamo rifarlo.
Nel mio caso fui sincero. Lui lo capì, e basta.

Da quel mercoledì è passato quasi un mese. Lui continua a parlare della sua cacca ogni volta che può, e io tiro su gli occhi, facendo finta di essere compassionevole come Maria addolorata sotto la croce.
L’altra sera, mentre stavo sdraiato sul suo divano, e lui stava sdraiato sopra di me, comprimendomi il respiro, gli ho detto, o meglio… sibilato che avrei scritto questo racconto.
Lui ha detto:
- ah bello…
Ogni molecola di lui fremeva già dalla curiosità. Io penso solo a quando si meriterà di leggerlo.

1 comment:

CornflakesBoy said...

Come ti ho scritto l'altro giorno su messanger i nostri "tram n° 7 to heaven" sembrano quello del film SPEED... non possono rallentare!!!

Inoltre sappi che ho scoperto questa simpatica ricerca che ci dice che il nostro scrivere un blog fa bene alla coppia!

Secondo Richard Slatcher evJames Pennebaker della University of Texas di Austin, se scrivi della tua storia d'amore, la aiuti a durare più a lungo. In uno studio, essi hanno recrutato 86 studenti universitari ed hanno chiesto a metà di loro di scrivere per venti minuti al giorno, per tre giorni consecutivi, dei pensieri più profondi e dei sentimenti che riguardavano la storia d'amore che stavano vivendo. Gli altri venti dovevano scrivere, negli stessi tempi, riflessioni sulle loro attività quotidiane. Tre mesi più tardi, il 77% degli studenti che avevano scritto delle loro storie d'amore erano ancora impegnati con lo/la stesso/a partner, contro il 52% degli studenti del gruppo di controllo. Conclusione: Slatcher and Pennebaker ritengono che scrivere ogni giorno del proprio rapporto sentimentale abbia 'chiare implicazioni cliniche'.