Thursday, October 26, 2006

Istantanee al filo

Stasera, in un cinema del centro, che avrei voluto descrivere come “fumoso” (se vivessimo negli anni cinquanta) ho visto un film.
“Fur”, viaggio immaginifico sulla vita di una grande fotografa Diane Arbus, per la regia di Steven Shainberg. Una splendida Nicole Kidman, che ha impresso sulla superficie della tela bianca, la sua proiezione di grande respiro. Non credo si essere nato per censire, o esprimere pareri critici, di spessore. Non come il mio caro divertente colto amico sister Matt cornflakesboy ( blog del quale vi caldeggio attenzione). Quando si esce dal cinema, bisognerebbe smettere di pensare al film appena visto e fare altro. Sarà solo il tempo del dopo, a dimostrare il valore di quella pellicola, a seconda di quante e quali cose saliranno a galla. In maniera inaspettata. Sul pelo dell’acqua della mia attenzione, io rivedo già una serie di fotogrammi, che mi riguardano molto.
Il modo in cui si dimostra il talento della fotografa Arbus, nel cogliere dettagli nascosti, gesti quotidiani che la sua percezione percepisce come probabili focus della sua arte. Movimenti della vita che la circonda, e il suo modo di dichiararne possesso immediato.
Per chi scrive, o desidera farlo, e si misura col proprio destino, domandandosi quanto sia scelto o offerto, succede così. Forse è la serratura attraverso la quale si spia il proprio sé, artista. Accedere dalla normalità, dalla vita ormai invisibile, alla materia viva. A me, per esempio, è sempre successo di considerare ciò che mi accade, non come una normale casualità, non come si inciampa al bordo di una strada imperfetta. Ma una serie di elementi da raccontare, sull’ordine dei quali riflettere. Parlo di incontri sorprendenti, di parole udite per sbaglio, di aneddoti imbarazzanti, dello strano rapporto incestuoso tra il tempo e il caso. E arrivo al rendermi conto di quante cose colpiscano la mia attenzione, come istantanee appese al filo teso, di fronte ai miei occhi attenti: una scarpa slacciata, una poltrona bucata, di cui qualcuno si è disfatto, abbandonandola per strada; una sciarpa dimenticata su una panchina, una musica che scappa da una finestra socchiusa, e la luce di una cucina, accesa a notte fonda, in una delle case di fronte alle mie finestre. E così mi immagino le parole, piuttosto che il silenzio che scorre nelle vene di quei momenti che mi vogliono come spettatore. I pensieri di chi mi ha regalato quell’istante, forse prima di fuggire ai proprio segreti.
Non so spiegare come mi sento, mentre ritaglio da uno solo di questi dettagli improvvisi, il mio desiderio. Quella speciale tensione, oramai vecchia amica, che mi trascina, e mi convince al raccontare. Al nascondermi dentro una storia che scrivo.

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