Nessuno ha bisogno, realmente bisogno di una bugia. Ma i momenti codardi sono troppi. Così una promessa spesa nel buio di una casa piccola, di cartone, in un altrove lontanissimo, diventa una bocca feroce che ci mangia, che ci tortura. Questa è la storia di un nuovo amico, che chiamerò Fa.
Dodici mesi orsono, ha chiuso il bagaglio, piegato le camicie da stirare, e un volo oceanico di dodici ore senza scalo lo ha portato dall’altra parte del mondo. Avrà pensato, Fa, di ricominciare, di ridisegnare il tratto della propria vita, di colpo diventata un’avventura da vincere. Sono sicuro che avesse qualche punto di domanda piegato origami nelle tasche. Ha tenuto il segreto ben riposto. Ma quel paese, quei punti di vista allungati a mandorla, hanno allargato la sua prospettiva, sgranando un poco i suoi sensi. Lasciare le rovine millenarie del nostro paese, e dormire in case di vetro; metà di un’ellittica per cambiare forse sin dal principio.
Era estate, questa appena sfilacciata via. Sotto il sole che si leva ma che non so se sia poi caldo. Così Fa inciampa nell’amore, temuto. E il resto ha ben poca importanza. Nudo di fronte a un altro uomo nudo. Così semplice, Fa, non lo avrebbe mai creduto. E si è perso, come chi rinasce, come chi si libera da coperte troppo pesanti poggiate sugli occhi, propri e altrui. Quel sol levante lo ha lavato dai suoi stessi segreti. Da quel giorno non ha più infilato le mani nelle tasche.
E quell’uomo, colui per cui tutto, Fa lo ha riconosciuto subito.
Come quindicenni spettinati, ma a trent’anni, hanno corso il loro tempo, bruciando i fiati. Raccontarsi le donne del passato con un filo di paura nell’ammettere che la vita era quella. Solo quella. Sono andati a vivere insieme, in quel paese lontanissimo. Sgualcire lenzuola e forse, nell’ora più tarda della notte, promettersi quel piccolo pezzo di futuro, che non basterebbe comunque.
Fa, in questo ottobre, è tornato fra le rovine dell’Italia. Voleva, credo, che gli amici di sempre lo vedessero così, perso nella sua felicità. Qualche giorno per poi correre indietro, restituito alla sua vita.
Eppure.
Sabato prima di cena il suo amore lo avvisa, con poche parole. Un lavoro altrove, in un’isola subtropicale. Una richiesta avanzata in un prima, dimenticato, che oggi fa rumore. Quell’uomo decide di partire e chiede scusa per questo.
Per chi scrive esistono dei privilegi unici, impagabili. Assistere a quel momento mi spinge oggi a raccontare, a parlare di quell’attimo breve, perché qualcun altro capisca, sappia, conosca lo sconforto degli occhi di Fa. Quella bocca tesa, nel non sapere cosa dire.
Ed è stato davvero facile vedere in Fa quel me diciassettenne, che chi mi conosce bene ricorda. Quel diciassettenne che non ha mosso un dito mentre un aereo planava altrove. E le parole non dette non sono e non devono essere un’eredità del tempo. Per nessuno. Fa deve dire qualcosa, o meglio: tutto. Non partire, non lasciarmi, mi sento perso, dammi il tempo, never is a promise and you can’t afford to lie.
Perché ti amo ma vado non si dice, perché mi dispiace non basta, perché avrei voluto fosse diverso ma non posso fare altrimenti è una bugia. Gli altrimenti si trovano se si pensa che la vita è solo questa e poi non più. Sono troppi gli incroci mancati nel destino di ognuno. Quindi se per una volta ci si ferma e si ha fortuna, non si può perdere, né sprecare.
E Fa questo, tutto questo, lo prova ancora prima di capirlo, ancora prima di esserne sicuro.
E Fa questo lo dirà, a quell’uomo che temo parta comunque.
E Fa oggi non sa ancora che ci sarà altro, per cui perdersi, e per cui sdrucire gli occhi. Senza dimenticare questo ottobre vigliacco, e una promessa diventata una bocca ingorda. Ormai.
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2 comments:
Già osffro d'insonnia di mio! Adesso resterò in ansia per almeno 15 giorni. Cessa!
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