Era l’ora in cui in città si riscaldano i portici, e iniziano a fiammeggiare le feste. L’ora in cui passano gli ultimi autobus, e i ristoranti iniziano a portare i conti agli ultimi tavoli. La notte colava come acqua leggera e bianca; un giro di perle dell’ultimo venerdì. Ogni cosa era sfumata nei propri argini. Io attraversavo la strada, per il mio ultimo autobus, verso casa di Lui.
Le ruote di una bicicletta bianca rigavano l’asfalto umido, evitando la scia delle macchine che scivolavano accanto.
The crash-boy. Non Lui, ma qualcun’ altro. Eccolo lì, che mi dice hey, raggiungendo il mio ultimo passo sulle strisce pedonali. Eccolo mentre accosta la sua bici al bordo della strada, scende dal sellino e si bagna l’orlo dei jeans su una ruota, mentre il pedale gira in fretta, senza un motivo.
L’altro, dunque. Un’immagine che in autunno non riconosco. Mi piaceva ricordarlo vestito con una sola maglietta a righe e i braghini corti, mentre faceva oscillare sopra il mio naso scottato due birre gelate, comprate dal pakistano sotto casa mia, prima di infilarsi nel mio letto, al caldo di luglio.
Lui che mi legava la lingua alle mani. Che mi zittiva con un solo fiato sul collo.
Ora lo vedo con la sciarpa leggera e la giacca di velluto. Ma lo riconosco immediatamente, da quel suo hey.
Come nelle palle di vetro, che quando si agitano scende la neve sugli alberi di natale, o su Westminter abbey, così capovolto sapevo che, dopo pochi secondi di testa all’ingiù, avrei scoperto l’effetto di quel gesto: cosa si preparava a piovere dal cielo.
Ed è stato come tirarsi un lenzuolo fino alla testa e perdercisi sotto, e odorare la sua saliva alla caramella sui miei baffi. Molti amori si asciugano sulla pelle, altri bruciano come il sole che si poggia sulle spalle. Lui è l’ultima supernova che ricordi di aver perso, in un silenzioso stupore.
- Chiamami, mi farebbe piacere rivederti.
E il prode destriero a due ruote lo ha riacchiappato in un attimo, dondolandolo sul bagnato della strada, tirandosi dietro anche le sue parole, come un aquilone.
Il tredici dell’ultima corsa mi si è fermato davanti. Ha aperto le porte e io sono stato l’ultimo a salire sopra. Come dovessi convincermi della nuova destinazione. Lo confesso: è stato un viaggio lungo, ma prima che prenotassi la mia fermata, per scendere un paio di chilometri oltre la mia faticosa partenza, avevo già deciso.
Restituirò su due palmi di mani quello stesso silenzio.
Non è l’onestà che brilla sulle ali degli angeli cherubini. E le stelle, quelle vere, non si perdono senza fare rumore, senza che ogni dieci di agosto qualche bambino indichi il cielo, sorprendendosi per lo spettacolo al buio.
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