Thursday, June 12, 2008

Età al limone

Ieri camminava con me. I nostri gomiti si sfioravano spesso. Guardarlo sorridere, cedere all’imbarazzo di quel momento mi divertiva. Era fresco, come un limone tagliato sotto la pioggia di questi giorni.
Gli ho chiesto che profumo portasse. Sembrava contento che lo avessi notato. Non incontravo nessuno come lui da non ricordo quanto tempo ormai. Trovavo tenero il fatto che la sua maglietta fosse stata scelta con cura, perché magari la preferita, magari quella che gli stava meglio.
Dietro il Pavaglione mi si è messo davanti, e io gli sono finito addosso. Sono diventato un trentenne disattendo al corteggiamento? Sentivo il suo desiderio, e mi faceva quasi paura.
Mi ha baciato, lieve, leggero, e ha aspettato che dicessi qualcosa. In quel momento tu non eri lì, e io non ero del tutto io. L’ho tirato a me, e gli ho restituito quel bacio, moltiplicandolo di respiri, di naso su naso, di mani sul collo, di sorrisi tra labbra e labbra. E tu non eri lì, e tu non eri lì, e io lì non ti ci volevo.
L’odore della sua saliva sui miei baffi era straniero; mi è entrato nel naso e mi ricordava a ogni passo che tutto è diverso ora. I miei nuovi mercoledì senza te possono essere così, e tu non lo sai, e tu non lo sai, e io voglio che tu non lo sappia.
Ogni cosa di me ieri ha respirato profondo, senza paura di trovare te in fondo alla pancia.
Non ho bisogno di sapere che succederà, e la cosa ti sorprenderebbe.


E Matteo aveva ragione: diventavo le parole della canzone di Moltheni “l’età migliore”.
…”Lingua ferma meraviglia labbra timide, come un’unghia graffia cicatrizzi la mia età, tu sei la malattia di quella gioia che non è più la mia, prendi me offro garanzie prive di calcoli, ma tu colorami di verde giallo e blu, arcobaleno io, profumo in aria tu….”

Tuesday, May 20, 2008

Finché

È una lezione dura. È una sottile linea d’ombra che spesso si ignora. Ci siamo abituati a quel piccolo sprazzo di felicità, bugiarda per l'eternità, e niente, oltre quella, ci pare abbia senso. Eppure.
In questi due mesi di straccio fra i denti ho spesso domandato il nome delle cose all’amore, come se tutto sapesse, come se ogni cosa capisse.
Amare è complicato, e la possibilità che una cosa immensa ci nasca dentro è infinitamente rara.
Con la parola amore voglio significare la forma pura; un profumo che in natura non esiste, ma solo nell’immaginazione degli uomini più impavidi.
In questi due mesi ho capito che non esiste un amore inutile, sprecato. Di cui rimproverarci.
Mi sento quindi fortunato ad avere una foresta dentro, che fiorisce nonostante la bufera. Ben protetta dalle mani, come tenessi accesa una candela su una scogliera d’inverno.
Amo colui che ora è lontano e in silenzio, che conosce questo amore come il palmo della sua mano. Questo amore che è mio.
Che è grande e non ha paura, né pudore. Questo amore che ha ancora fiato nonostante le corse, questo amore che preme sul mio costato nelle notti troppo lunghe. Si fa sentire questo amore, qui dentro.
Amo colui che ho lasciato andare, sistemando la mia rotta verso qualunque deriva del mondo. Non ha importanza.
I miei occhi, le mie orecchie, tutto di me ricorderà che io so amare così, coraggiosamente.
Questo amore sono io, in tutto. E lo difendo. Tenendolo al caldo.
…. Finchè sarà.

Monday, April 07, 2008

Eroi

Oggi nevica polline. Letteralmente. Io sto a occhi stretti, perché naturalmente qualche anno fa mi è piombata una splendida e immancabile allergia. Come se non ne avessi abbastanza. Beh comunque; in giorni così mi ricordo di quando facevo il liceo, ed era bellissimo fare sega a scuola e andare al mare. I primi caldi, quando le giacche le si lasciava sotto la sella del motorino. Erano in giorni così che ci si poteva innamorare. A me è successo. Almeno un centinaio di volte. Pochissimi lo hanno saputo, e altrettanto pochi si sono fatti trascinare dietro le fresche frasche.
Oggi ho voglia di pensare a quanto era facile scivolare dentro un sentimento, immaturo e libero da ogni cosa. Potevo promettere l’anima. E non c’era il peso di parole buttate al vento, dietro le spalle. Eravamo tutti curiosi di sapere cosa fosse l’amore, magari anche l’incerta idea del possesso ci faceva brillare gli occhi. Ma era tutto lì, speso in un attimo.
Mi manca la leggerezza del cuore; quella leggerezza che non è mediata da nessuna paura.
Quell’ebbrezza di poter pensare che fosse per sempre; un amore ingenuo che guaiva di inesperienza.
Ci penso proprio oggi e non è un caso.
Penso a quante coppie mature e rodate io conosca. E ci metto un secondo. Quante altre invece ho visto nascere e sciupare? Un’infinità. Mi dico che è normale, che veniamo posseduti da un brivido che ci tiene stretti, e che dura sempre troppo poco. Penso a quanti vorrebbero trasformare un loro eventuale rapporto in una cosa che assomigli a una famiglia, e che sia di fatto come una famiglia. Eppure io continuo a vedere moltissimi giovani, amici, e amici di amici, che faticano a lasciarsi andare all’amore. Quel gioco che si faceva a quindici anni, quando si arriva ad avere trent’anni è una sfida, una lotta con sé stessi e con l’altro. Accedere e rendersi accessibili diventa quasi un lavoro.
Per una volta non penso a me, ma a quello che vedo attorno. Succede sempre meno spesso di conoscere una coppia; e quando accade mi scopro meravigliato di sapere che magari il loro rapporto dura da diversi anni. C’è sempre l’esigenza di complimentarsi, di incoraggiare il loro amore, come fossero tornati dalla guerra e avessero trovato un modo per resistere al bruciore delle ferite; li vedo inconsciamente come eroi. Non dovrebbe essere normale? Hanno un lavoro e degli amici, si sono conosciuti in discoteca, si sono baciati sotto la consolle, e da allora non si sono mai lasciati. Hanno avuto i loro litigi, le loro ombre ma chi no…. E stanno insieme e magari vanno anche a vivere insieme dopo qualche tempo, perché “spendere due affitti è stupido e perché ci vogliamo bene”. Io mi ritrovo a meravigliarmi. E mi vergogno!
Stamattina ho saputo che l’ennesima coppia si è persa; hanno allentato la stretta e si sono allontanati. A quindici anni si soffrirebbe in maniera diversa, unica penso! Forse si piangerebbe mentre la compagna di banco ti accarezza i capelli durante la ricreazione chiusi in bagno (ops, eccomi!). Invece a trenta ci si trincera dentro il gelido riserbo che quella storia è nostra. Che è difficile spiegare. Non ce ne accorgiamo, ma momenti così ci restano dentro in qualche modo, sempre di più. E ci cambiano. Per motivi che hanno sempre meno senso, e sempre meno parole.
Vorrei imparare a meravigliarmi di questo.

Monday, March 17, 2008

La Gegia

Sapete che non mi eri reso conto quanto fosse passato dal mio ultimo post? Allora è proprio vera quella cosa che si dice: quando si invecchia non si tiene più conto del tempo che passa!
In effetti, ripensandoci, di acqua ne è scorsa sotto i ponti; e fra le mille cose trascurabili che per scelta e profondo senso di vergogna non menzionerò, annuncio subito che la Gegia si è laureata.
La Gegia (mmmh forse dovrei chiamarlo Gigi), l’ho conosciuto il primissimo anno qua a Bo. Era, come dire, alquanto grottesco. Mingherlino, e ostinatamente convinto che vestirsi di acrilico fosse cool. Se sfregava le cosce con una certa insistenza faceva le scintille. Obbiettivamente era un bel colpo di teatro, quando entravamo in un locale e io mi facevo spazio tra la folla, circondato da raggi di fuoco incrociati, che manco le Destiny’s Child avrebbero osato. Erano anni quelli!
A Gigi basta guardarmi in faccia per scoppiare in una fragorosa risata. Mi sono mai offeso? Naaa, capisco perché succeda invece. Abbiamo un senso dell’umorismo ben calibrato. Io sono il comico, e lui le risate registrate. Non posso evitarlo.
Anche Gigi tende ad innamorarsi dei ragazzi sbagliati: e questo perché anche lui è sano di mente, e sa che questo è l’unico modo per divertirsi, alla fine della fiera.
Negli anni il suo look è decisamente migliorato, tanto da farlo diventare invidiatissimo stylist.
Se hai un’occasione importante, vai da Gigi e siediti sul suo grande letto. Lui ti guarderà con gli occhi stretti, e ti dirà: ok, vediamo se cogli (traduco: vediamo se riesci a decifrare l’ambiziosa proposta che ti faccio). Si intrufolerà nel suo armadio sottratto a Mary Poppins, e tornerà alla luce con capetti unici e irripetibili. Così la processione delle amiche in crisi di guardaroba si scorge dall’angolo di via Zamboni quasi.
All’ultima festa era vestito da Miss Italia, con tanto di fascia acqua Rocchetta. Memorabili i suoi party a tema. Direi che su tutti vince: “Il matrimonio napoletano”. Ma anche “Madonna tutte le versioni” è passato alla storia. (Sì, ho reperti foto… e no, non posso proprio postarle.)
Nella sua tesi di laurea mi ringrazia per averlo aiutato a scomporre difficili discorsi e averlo guidato ad analizzarli pezzo per pezzo. Questo fa di me una psicotica, detta così. Ma io so cosa volesse intendere il buono e bravo Gigi. E mi commuovo per questo.
La cosa che invidio di più al mio amico è il fatto di saper mantenere un rapporto splendido coi suoi ex. Io dribblo le diffide invece. Lui no, lui invita tutti a cena, ex e nuovi morosi, in un accorato simposio di sensi amorosi, passati e trapassati.
I miei ex si nascondono dietro i pali della luce se mi incontrano per caso (tutti furbissimi quindi). A ognuno il suo mi verrebbe da dire.
Gegia passa senza avvisare. Come la stella cometa. Lei arriverà, e tu lo sai. Poco importa se sei impelagato in qualche nuova posizione tantrica, o se sei nel sonno più profondo tu abbia mai conosciuto. Lui suona con una certa foga il tuo citofono, e quando tu dici: sììììì, lui ribatte: caffè?
Non si stupisca del perché poi, una volta salito in casa, sia lui a dover svitare la caffettiera.
Gigi tiene un segreto, al punto tale che si dimentica tutto. Ogni volta che lo incontri gli devi ricordare gli antefatti degli antefatti, come fosse una dolce nonnina rimbambita.
Sapevo io, come tutti del resto, che una volta laureato, la sua intenzione fosse quella di migrare altrove. Bologna ti abitua a questo, ed è sempre doloroso come fosse inaspettato. Gigi andrà a Madrid, e io gli auguro il miglior futuro del mondo. Lui non lo dice, ma sappiamo tutti che si vede già vestita in abito bianco, col velo fin sotto le ascelle.
E tornane Gì ogni tanto, che già ce ne la fumiamo davanti a un caffè a casa mia, che farai tu. E a me dammene il piattino che non siamo zingari.
Buena suerte.

Friday, February 15, 2008

rosa rosae rosae rosam....

Oddio. Mi sono svegliato e non volevo crederci. Ma com’è possibile che la rosa di san Valentino sia già morta? NO, abbiate pazienza, qualcuno a questo punto mi deve delle risposte! Quanta vita avrà? Trentasei ore? Bene, fottura rosa, forse non sai che io sono circa vent’anni che aspetto che tu ci sia, nella mia casa, nella mia vita. Lazzaro alzati e fiorisci. Sì, fiorisci e germoglia per i prossimi sei mesi. Ti concedo eventualmente un minimo avvizzimento in prossimità della calura estiva, ma bona!
Eh? Che dite? Ah già, sì alla fine la rosa me l’ha regalata. Me l’ha allungata distrattamente mentre io squittivo. Il verso era più quello che Daril Hanna fa, nella sua encomiabile interpretazione, in “Splash, una sirena a Manhattan”. Insomma, stringando, io gioivo. Lei, la rosa, era di un bel rosso rubino, molto passion, molto tadaaaan, d’effetto.
Io non ho neppure un vaso in casa. Diciamo che la mia abitudine nel ricevere fiori ha un tasso di frequenza simile alla temperatura di Alghero… ovvero non rilevabile!
Così mi sono arrangiato. E, come scrive il manuale della non più giovanissima prociona, ho infilato lo stelo dentro una bottiglia di vetro. Era così decadente, così “di fortuna”. Molto squatter. Era perfetta. Mi sono addormentato guardandola, e promettendomi che non avrei giudicato il mio fidanzato mai più, o almeno non prima di avere davvero una ragione.
Quella rosa è il simbolo che gli imprevisti succedono, se si smette di sperare.
Non poteva avere altro destino, se non la morte! Ora me ne rendo conto. È talmente semplice, prevedibile, che non so perché mi stia stupendo.
Ma un fatto è davvero accaduto: lui è uscito dal lavoro, stanco e strascicante. E ha avuto l’adorabile idea di fermarsi da un fioraio sulla strada, per me. Per farmi contento. Contro ogni sua idea di stucchevole abbrutimento. Per un attimo ha dovuto fingere di essere umano, romantico, comune.
Non deve essere stata una passeggiata di salute. Immaginatevi la fioraia. Avrà pensato: ecco l’ultimo della giornata, uno dei ritardatari. Comprerà una rosa per la sua fidanzata (e qua mi si inorgoglisce il petto), che avrà preparato una cena per lui, di ritorno dal lavoro (oddio, sì, sono io.. quella stronza col grembiule e le dosi di sale sbagliate… signora fioraia sta parlando di me, più o meno). Lui avrà bestemmiato per il rincaro delle rose, giustapposto il 14 febbraio, e sarà ripartito sui viali dimenticandosi le quattro frecce accese, quattro. Cupido ce fai una pippa!

Insomma, muori rosa bastarda, che tanto con tutte le sigarette che mi fumo nei ritagli del tempo non avresti mica avuto una vita sana. Il miracolo è già avvenuto. E comunque non ditelo a nessuno, però a me i fiori manco piacciono. Ma qua si sta parlando di impegno, di amore,... e soprattutto di quanto io sia diventato bravo a fare gli occhi dolci, a ricevere senza dover più manco fiatare! beh!
Sant'uomo... qualcuno se lo ricorderà per questo.

Monday, February 11, 2008

Rossore e cioccolato

Ma non è che per caso è arrivata la primavera e io non me ne sono accorto? No, lo so che fa ancora un discreto freddino, ma io mi sento rincojonito come quando arriva caldo. Intanto dormo una quantità di ore spropositate, e alla mia sveglia la mia faccia è il doppio del solito. Nell’aprire le imposte sento lo stupore del mio pubblico, e io tranquillizzo tutti: noooo, state buoni, è solo botox.
Però alla sera tutto si sgonfia e rimane la solita guanciotta un po’ avvilita e sfinita nell’aver trattenuto il fiato per le precedenti dieci ore. Com’è?
Poi vabbè, il mio fidanzato ha problemi gastro intestinali da dieci giorni (come so essere garbato!).
Questa cosa sta minando il nostro rapporto sin dalle fondamenta. Ora, siamo seri. Sì io lo amo, ma non devo amare tutto di lui, giusto? Quando il mio fidanzato si ammala, è una tragedia. Intanto si lamenta come se gli avessero asportato un rene e lo avessero lasciato lì, aperto, sotto sale magari!
E che sarà mai, dico io!
Se gli proponi di farsi vedere da un medico, storce il naso e dice che non è poi così grave. Ipocrita.
A dire il vero ha sempre avuto una decisa tendenza a parlare in modo dettagliato dei suoi prodotto biologici. Quindi da dieci giorni potete immaginarvi quale sia l’argomento clou.
Sarà anche per questo che temo il giorno in cui lui e la Mater si incontreranno. Non dico mica che sia imminente, ma magari succederà prima o poi.
Nella mia famiglia c’è sempre stato molto pudore per la cacca. Solo per quella direi, perché di ogni altra cosa sgradevole no. Affatto. Ma la cacca è proprio un tabù.
Beh, io sono sfibrato. Lui si prepara il riso in bianco, e io magari quella sera ho voglia di una pasta all’arrabbiata. Per dire! Ma secondo voi mi devo sentire in colpa? Ieri ha insistito perché nel bel mezzo della cena portassi via una bottiglia di olio che non dava fastidio a nessuno. Dai, mi diceva, mettila in cucina. Per non discutere mi sono alzato come un automa e sono andato di là, per accontentarlo. Al mio ritorno lui aveva due forchette, e dico due, infilate nel mio piatto, e punzecchiava le penne con una rapidità di movimento da sfidare la percezione visiva. Quando si è accorto che io ero lì, tadaaan, ha abbassato gli occhi e mi ha detto che era solo curioso di assaggiare la mia pasta!
È ufficiale: il mio fidanzato ha dodici anni! Nessuno lo sa ma è così. Ha la barba perché è precoce. E gli hanno dato una laurea quando avrebbe dovuto frequentare la seconda elementare. Sono sicuro sia così!
Per il resto presto sarà san Valentino. Io non ci ho mai tenuto più di tanto. Ma chissà perché quest’anno gli ho proposto di fare qualcosa insieme! Lui mi ha guardato, con le labbra che tremavano dal riso. Ha sollevato gli occhi al cielo come se stesse pensando un modo carino per dirmi che forse non era il caso… io aspettavo intanto con entusiasmo medio, scemante…. Lui ha detto solo: levatelo dalla testa!
Ho pensato: non saltargli al collo, che se poi accidentalmente succede qualcosa non hai neppure una vasca dove versargli dell’acido addosso…. Sarebbe difficile sfuggire alla legge.
Motivo? Beh dai, che ci frega… non abbiamo bisogno di omologarci. Eccheduecoglioni! Mi sono rotto dei contestatori sociali, di quelli che fanno gli alternativi, di quelli che credono nella loro personalità dirompente più di qualunque innocua tradizione. Volevo solo dei cioccolatini e chessò, un ora d’amore?
Giovedì mangerò cioccolato da solo, e mi farò venire un attacco diarroico. E mi lamenterò molto, dicendogli che ho bisogno di lui per tutto il weekend; che mi tenga la manina mentre starò curvo sul cesso…… scommettiamo che il prossimo anno mi porta alle Maldive?

Monday, January 28, 2008

Daiamon's epiphany

“Per cui se succede che qualche argomento rimane silente o qualche risposta sia un poco sfuggente, sappi che a volte nella mia testa cade una grandine molto violenta. Forse passeggera, ma poi ritornerà. Tu non aspettarmi, preparati pure un sandwich.”

Questa frase di Cristina Donà mi è parsa perfetta. Un incipit sconclusionato, per ripiegare questo lungo silenzio ingiustificato. Perché sì, oggi va molto di moda dire che si è stati in rehab. Ma no, they didn’t try to (cito la Winehouse, notate la sottigliezza please). Oggi tira di brutto alludere a qualche intervento chirurgico più degenza debilitante, ma aridaje no. So “bbella” de mio.
Solo che… la dico proprio tutta: mi andava di starmene un po’ in silenzio. Non che ci fosse davvero qualcosa da risolvere, ma il mio piccolo mondo aveva qualche screpolatura, che non sapevo raccontare. Così ho fatto in modo che l’universo, il mio almeno, tirasse fiato.
Ho questa maledetta idea di perfezione di ogni cosa, che finchè ero sbarbo era anche una cosa carina. Oggi assomiglia più a una patologia scomoda. Lo so! E vabbè. E il silenzio mi aiuta; mi da il tempo di accettare quel che di me vorrei che cambiasse. La mia eterna rivoluzione.
Ora di certo non mi spaccerò come persona nuova. Figurarsi! Sono il solito casino. Però ho meno peso sulle spalle. Quindi: buon per me. Vai a capire come ci sono riuscito.

Il mio cuore è sempre lì. Ha un po’ più spazio ora, per crescere. E l’amore insegna, è proprio vero! Per quanto ingrato sia il muro col quale in continuazione mi tocca incappare, di capoccia, alla fine della giornata Luca mi sembra la cosa più immediata, normale, pulita e spontanea che mi stia davanti agli occhi. Credo dipenda da tutta la fatica spesa fin qua. No, non è stata esattamente una passeggiata di salute. Vedete, è cosa chiara a chi mi conosce che l’amore che vivo è indomito, in quanto ha superato pronostici altamente disfattisti. Il segreto non l’ho capito neppure io, che difficilmente lascio qualcosa dietro le spalle senza rifletterci un po’ sopra. Forse l’unica spiegazione è che le cose accadono; forse la Bertè ha ragione nel dire che l’amore… ti sceglie. E fanculo gli innumerevoli esperimenti di ognuno. E so che in molti fuori da questo foglio, da questa pagina, mentre io scrivo, pensano di non essere stati capaci abbastanza. Ma non è una sfida.
Sapete che c’è un luogo in ognuno di noi, che ci riguarda? Si chiama Daiamon. Una riva che sta oltre l’anima. Una tasca profonda della nostra pancia. Ci sono tutte quelle cose che non possiamo toccare, ma che conosciamo bene. Le nostre paure, i nostri bisogni, le nostre disfatte. La nostra mano arriva solo al bordo di questa piega di noi. Inutile cercare di allungarci le braccia.
Il punto è che ci si può fare a pugni una vita col Daiamon, ma sarà tutto tempo perso.
Quando qualcuno di noi fugge, non deve essere sorpreso. Dentro la tasca ci sono tutte le risposte che spiegano i nostri perché. Ma, piuttosto che in conflitto, io suggerirei una resa. Un’ammissione sincera di quello che ci imbavaglia le volontà. Perché tutti abbiamo le mani legate, superati i confini del nostro tracciato. E l’amore, per esempio, non ha destinazione alcuna.
E ti immagino con il cuscino appena premuto sul viso. Magari riesci ad addormentarti prima di ieri notte. Magari il tuo respiro caldo ammorbidirà la fronte, stretta nella piega del tuo dubbio.
Mi piacerebbe che scoprissi da solo, e presto, quanta vita ti arriva addosso di corsa.

Così, alla fine, ho deciso di cambiare casa. Ho pesato le idee, e ho scoperto che sono più grandi di quanto credessi. Le mie quattro mura mi sembrano così strette adesso. Mi hanno pagato per un lavoro di scrittura. Non un granché, ma quando la mia passione diventa soldo la mia mania di grandezza diventa obesa, più del solito intendo. Con questi soldi mi piacerebbe comprare un violoncello. Ho sempre sognato di imparare a suonarlo. Un onda grave, di suono armonizzato, dentro mura più ampie. Che bel domani che sarebbe. E perché non dovrebbe esserlo? Mi ci vedo, seduto e contrito come un musicista intenso, mentre Lu scola la pasta e decide in segreto come sbarazzarsi dell’archetto.
Ecco un’altra cosa che farebbe della mia vita… la mia vita.

Tutto sommato, quindi, me la cavo.
Vi abbraccio; mi siete carissimi quando vi preoccupate per me.